Cultura

POPULORUM PROGRESSIO, 40 ANNI PORTATI (PURTROPPO) MALE

Oggi il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale...A cura di, Gerolamo Fazzini

di Redazione

Leggi l?incipit della Populorum progressio – promulgata il 26 marzo 1967 – e subito pensi che i suoi quarant?anni li porta proprio male. L?enciclica di Paolo VI sullo «sviluppo dei popoli » vide la luce nel pieno della decolonizzazione dell?Africa. Oggi lo scenario è abissalmente diverso. I «popoli della fame » di ieri ora sono – almeno in parte – primattori sullo scenario internazionale: pensiamo alla Cina degli anni 60 (nel pieno della disastrosa Rivoluzione culturale) e a ciò che rappresenta oggi, in chiave economica e politica… E se un tempo non era minimamente messo in discussione il concetto di «sviluppo», ora disponiamo di studi e analisi sul tema che ci hanno reso edotti di come, in realtà, sia affare complesso, multidimensionale, strettamente legato alle culture.

Dobbiamo allora rassegnarci a sfogliare la Populorum progressio come un reperto del passato, una sorta di fossile ecclesiale? Nient?affatto. Per (almeno) tre buone ragioni.

1. Lo sviluppo o la rabbia
Mai come in questo tempo misuriamo la verità di un?affermazione-cardine della Populorum progressio: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Tra le tante, dall?11 settembre in poi una cosa è apparsa chiara: che se Al Qaeda non è il «Robin Hood dei poveri» che vuol apparire e persegue fini di destabilizzazione e violenza del tutto esecrabili, però una larga fetta dell?opinione pubblica dei Paesi poveri (musulmani, e non) ne appoggia – purtroppo – le «gesta», leggendovi una sorta di vendetta dei torti subiti. La miseria genera rabbia; e sulla rabbia si costruisce l?odio. Combattere il terrorismo senza pensare a come risolvere gli squilibri esistenti equivale, quindi, a imbarcarsi in un?impresa che nasce fallimentare.

2. Il grido inascoltato
Del resto, se la situazione sociale ed economica è radicalmente mutata dagli anni 60 a oggi, gli squilibri tra Nord e Sud del mondo – così come all?interno degli stessi «Nord» e «Sud» – non sono affatto spariti.

Quando Paolo VI scrive che «la Chiesa trasale davanti a questo grido d?angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» non sta descrivendo un atteggiamento pietistico superato. Quel grido d?angoscia lo sentiamo levarsi ancor oggi. Tanto dagli immensi slum che circondano le metropoli, quanto dai villaggi africani dove l?Aids semina morte. I dati dicono che la globalizzazione ha portato risultati positivi nei Paesi agganciati al treno del commercio e aperti al libero mercato. Ma per molti (troppi!) essa si è rivelata più come una maledizione che un?opportunità.

Il punto è se la Chiesa ancora oggi «trasale» – come diceva l?enciclica – udendo questo grido. E se, a sua volta, riesce a far trasalire la società. Una società pronta a innamorarsi di temi quali la fame nel mondo, gli aiuti, il debito (ricordate l?estate 2001, quella del G8 di Genova?), salvo poi dimenticarsene quando altre questioni entrano nell?agenda politica.

L?editoriale di Mondo e Missione dedicato al quarantesimo della Populorum progressio osserva che «oggi la Chiesa appare giustamente preoccupata di arginare le derive della tecno-scienza che insidia l?ambito della procreazione e di contrastare modelli di famiglia in palese difformità dalla legge naturale». Ma «un?altra guerra è in corso e si combatte quotidianamente dove sono negati l?equa ripartizione delle ricchezze, il diritto alla terra, un lavoro giustamente retribuito». Posso sbagliare, ovviamente: ma l?impressione di chi scrive è che, pressata da emergenze inedite, la Chiesa stia dando l?impressione di arretrare non tanto sul versante della lotta effettiva alla povertà e all?ingiustizia sociale quanto della mobilitazione delle coscienze su questo terreno.

3. Non solo economia
C?è un?ultima ragione per la quale l?enciclica è più attuale che mai. Leggiamo: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico, dev?essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l?uomo». Sembreranno frasi generiche, ma non è così. Quando la Populorum progressio osserva che non si deve «separare l?economico dall?umano», si rivela di sorprendente attualità. Uno sviluppo che nega la dimensione trascendente, che esclude Dio dal suo orizzonte non è autentico perché, in ultima analisi, «dis-umano». La Chiesa – e il mondo missionario in primis – non deve mai stancarsi di ribadirlo.

La risposta alla deriva economicista, però, non sta in una mera riduzione di beni prodotti e consumati. Proprio perché la persona è ben più di un «animale da shopping», occorrerà immaginare qualcosa di più originale ed efficace della «decrescita » di stampo quasi pavloviano che taluni (Latouche & C.) suggeriscono come antidoto a un?economia per molti versi impazzita.

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