Cultura

Una nota di troppo

Sostiene l’ottimo Alain Resnais che la potenza della musica è tale da distrarre lo spettatore sensibile, se non dosata nella misura giusta. Le note prendono il sopravvento e...

di Maurizio Regosa

Sostiene l?ottimo Alain Resnais che la potenza della musica è tale da distrarre lo spettatore sensibile, se non dosata nella misura giusta. Le note prendono il sopravvento e addio attenzione. È un po? quel che avviene in questo film (che tuttavia è piaciuto molto ai critici nostrani, con la sola eccezione del decano Kezich). Scelte musicali raffinate ma, ahimè, usate in maniera non egualmente sofisticata. Un po? come a riempire. Magari temendo che gli sguardi del protagonista non risultino abbastanza eloquenti. Che la storia non paia sufficientemente coinvolgente. Un po? come se il silenzio facesse paura. O, lettura più ottimistica, come se si intendesse esprimere l?ansia del protagonista. Una sorta di soggettiva uditiva, insomma. In ogni caso talmente sistematizzata da farsi meno persuasiva.

Eppure l?efficacia che coinvolge dovrebbe essere tutto in una pellicola come questa, che si propone di descrivere lo smarrimento di chi sta per abbracciare una vocazione ed è sul punto di scegliere di consacrare la propria vita e non sa bene perché. Argomento difficile, non vi è dubbio. Delicato e per molti aspetti poco ?cinematografico?.

Saverio Costanzo, che è anche sceneggiatore di In memoria di me, ha scelto un modo sincopato per affrontarlo. Lacerti del quotidiano accostati a solitudini notturne, piccoli pezzi della vita in comune affiancati a pomeriggi in biblioteca. Paradigmatici momenti in cui si studia e si è impegnati a spiare l?altro. Colui che siede di fronte e sta compiendo una scelta analoga alla tua e dal quale quasi ti auguri possa giungere una spiegazione. Quasi un?illuminazione. Delle sue e delle tue scelte?

Un percorso insomma costruito su emozioni, sensazioni e sfumature, rarefatto necessariamente e condotto spesso tramite lo sguardo dei personaggi. In particolare di Andrea, che in un film tradizionale sarebbe il protagonista (Christo Jivkov, già apprezzato ne Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi). E che in questo diviene un?occasione. Nel senso che più che un?indagine sulle motivazioni o la psicologia, Costanzo conduce su di lui e per il suo tramite un?inchiesta fenomenologica.

Se sui risultati si possono avere dubbi (quest?universo chiuso, così monocorde; quella congregazione dove è bandito persino il sorriso; quei misteri appena accennati che non hanno spiegazione), più soddisfatti si può essere dello stile, impeccabile. Alla sua seconda prova, Costanzo conferma di possedere una grande padronanza formale e di saper costruire immagini pressoché perfette.


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