Mondo
Talebani, perché trattare
La soluzione militare sembra ormai impossibile. Se non si escogitano percorsi nuovi cè il rischio di finire impantanati. Quindi trattare è una via obbligata. Ma non cè una sola via...
di Nino Sergi
Daniele Mastrogiacomo è a casa. Complimenti ad Emergency e a quanti si sono adoperati per la trattativa e per la liberazione. Rimane ora con forza l?interrogativo: trattare con i talebani anche per costruire la pace?
La questione non è semplice e lo dimostrano le differenti reazioni espresse da analisti intelligenti e degni di stima. Si tratta comunque di una questione da approfondire legandola sia al contesto afgano che al nuovo e incerto contesto internazionale e distinguendo tra trattativa e partecipazione ad una conferenza internazionale come quella proposta dall?Italia: il dibattito le sovrappone spesso, mentre esiste una radicale differenza che non va confusa.
La questione afgana è a un punto critico. La soluzione militare appare ormai impossibile; la ricostruzione e il ben-essere della popolazione rimangono un auspicio che stenta a concretizzarsi; il consenso e le attese degli afgani sono stati traditi; la coltivazione dell?oppio e i proventi del narcotraffico sono al massimo livello e contribuiscono al rafforzamento dell?illegalità e della guerra.
Il contesto internazionale non è meno preoccupante. La legittimazione dell?operazione di peace keeping e di sostegno alle istituzioni afgane si è trasformata in progressiva legittimazione di ?fatti compiuti? e, in definitiva, della guerra; le visioni dei Paesi occidentali si stanno divaricando; il pensiero di una possibile sconfitta mette in crisi le scelte e le ambizioni della Nato; cresce al contempo il contrasto tra le visioni delle politiche governative e quelle delle società civili nei Paesi occidentali. D?altro canto, il sistema delle relazioni internazionali ed in particolare quello multilaterale, con le sue regole e le sue liturgie identiche e immutabili da oltre cinquant?anni, sente anch?esso l?esigenza di individuare nuove strade per riuscire a governare la complessità globale. Diventa impellente escogitare nuovi e diversificati percorsi e nuove forme di gestione dei conflitti, senza avere paura di uscire da schemi spesso inefficaci.
Che occorra ormai trattare con i talebani può forse non piacere, data la loro ferocia, ma è ormai un?esigenza imposta dalla realtà della situazione afgana. Lo si sta già facendo a livello di territorio, ma non basta. Meglio trattare ora che farlo dopo essere stati sconfitti. La sconfitta non è certa, si dirà; ma non è certo nemmeno il contrario. Il punto centrale è ?come trattare?: e su questo punto non possono essere fatti errori.
Le vie sono molteplici. Tra la trattativa territoriale e l?auspicata conferenza internazionale vi è un?ampia gamma di modalità. La conferenza dovrebbe rappresentare l?ultima fase e il coinvolgimento in essa dei talebani potrebbe avvenire solo se fosse il governo afgano, quale legittima istituzione, a convocarli; altrimenti ne risulterebbe delegittimato. Ma anche un simile coinvolgimento dovrà essere il risultato di una trattativa avviata direttamente o tramite Paesi intermediari ed in particolare quelli più vicini.
Quindi trattativa, trattativa, trattativa. In fondo, è il risveglio della politica, la rinnovata presa di coscienza del primato di quell?azione di ascolto, di comprensione e di mediazione che è stata purtroppo sottovalutata, in Afghanistan come in altri contesti di crisi, per dare spazio solo all?azione ?taumaturgica? quanto non risolutiva delle armi.
In questo contesto, le ong si stanno preparando a rafforzare la loro presenza in Afghanistan. Quello dell?aiuto, della risposta ai bisogni della gente e della ricostruzione è l?approccio più convincente: esso stabilisce legami, fiducia, credibilità. Proprio ciò che è mancato nella strategia internazionale.
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