Famiglia

Il segreto del nuovo Pinocchio. E Benigni disse: burattino for ever

C’è una grande sorpresa nel film del comico toscano: il suo eroe scappa via dal finale troppo perbenista. Con un’ingenua travolgente baldanza. Di Glauco Genga

di Redazione

Non c?è dubbio: l?ombra del burattino che si allontana inseguendo la farfalla nella scena finale del film è di Benignaccio. Affascinato dal personaggio di Collodi, ma anche da Fellini (che avrebbe voluto con lui girare un film su Pinocchio), dalle scene di Danilo Donati (alla cui memoria dedica il film) e dalla sua Nicoletta (qui elevata da Principessa a Fata), si congeda con un interrogativo: forse gli garba di più fare il tifo per l?ombra del burattino che per il bravo ragazzo che ha messo la testa a posto? Un po? come nella celebre commedia di Eduardo: «?Sto presepe nun me piace». È facoltà, e insieme atto di giudizio esercitato nei confronti di famiglia, scuola, cultura. Come a dire: una scuola che ecciti il moto e il pensiero deve ancora nascere, non ci siamo ancora. Carlo Lorenzini, alias Collodi, ne sapeva qualcosa, e il film di Benigni gli sarebbe piaciuto senz?altro, se è vero che Pinocchio gli uscì più ricco e più felice di altre sue opere pedagogiche (Giannettino e Minuzzolo). Ancora 40 anni dopo, fra le due guerre, la distanza tra la cultura contadina e quella scolastica in Italia era tutt?altro che colmata, se un norcino poteva deridere un ragazzino che andava a scuola in città, perché non sapeva come si ammazza il maiale: «e allora cosa ci vai a fare a scuola?». Proprio come l?ortolano Giangio di fronte alle lacrime di Pinocchio per la morte dell?amico Lucignolo. Ma Pinocchio può E Pinocchio che ne pensa? «Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l?altro imparerò a fare i numeri». Ecco il rapporto che intrattiene con lo scibile, il suo personale programma di studi. Roba da veni, vidi, vici: tutto è alla sua portata, è solo questione di tempo, nessuna problematicità dell?esperienza. Qualcuno, che ha avuto un certo seguito dagli anni 50, ha chiamato questa posizione «ingenua baldanza». Resta il pericolo di ritrovarsi abbindolati, e forse anche di lasciarci le penne. Per chi non lo sapesse, la prima versione della storia, apparsa a puntate sul settimanale Giornale per i Bambini, terminava con l?episodio dell?impiccagione. Furono i lettori a protestare, inducendo l?autore a proseguire il racconto. Così nella seconda parte, tra l?altro, Pinocchio spinge a fatica il bindolo per tirar su i secchi d?acqua, ma la neo-nata scuola dei tempi di Collodi doveva sembrargli un bindolo non minore. Per testare la moralità di Pinocchio renitente alla leva scolastica, si può accostare la triade collodiana burattino-asino-ragazzo a quella di Agostino quanto al peccato: poter peccare, non potere non peccare, non potere peccare. Le due serie risulteranno forse non coincidenti. Busi e la parodie Mi ha incuriosito la querelle sorta tra Busi e l?Espresso, reo di averne censurato la recensione (!), ospitata poi dal quotidiano di Ferrara. Intendiamoci: le parodie scanzonate o pornografiche di Pinocchio si sprecano, e non da ieri; ma tutte, dalla sega del falegname Geppetto all?effetto erettivo della fatina, se considerate con intelletto non scandalizzabile, sono lontane mille miglia dal rigor mortis in cui sguazza Busi con le sue ragadi (vedi Il Foglio del 10 ottobre scorso). è, ancora una volta, melanconia, e ancora da sinistra. Gratta gratta, l?unico capo di imputazione contro questo Pinocchio e il suo ideatore è di aver ?marinato? i girotondi per saltare sul carro di Mediaset. Si vuole processare Benigni? Bene, ma allora si processi anche Collodi, e la sua psicologia, la scuola di Gentile e quella riformata, fino al rilevantissimo tema del rapporto tra psicologia ed educazione, colpevole troppo spesso di non saper distinguere tra burattini e bambini, irriducibili sì, ma fino a un certo punto. di Glauco Genga


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