Mondo

A dieci anni dalla pace. Com’è lontano il Mozambico

L’accordo tra ribelli e governativi fu un successo italiano. Un successo dimenticato. Perché? (di Gianni Valente)

di Redazione

Nel frastuono delle campagne sempre più chiassose orchestrate anche in Italia dagli imbonitori della ?guerra preventiva?, è passata quasi sotto silenzio la celebrazione dei dieci anni della pax mozambicana. Se si eccettuano due manifestazioni ospitate in Campidoglio dal sindaco di Roma, Walter Veltroni, quasi nessuno si è ricordato di quando il 4 ottobre 1992, nel giorno in cui la Chiesa cattolica celebra san Francesco d?Assisi, i rappresentanti del governo di Maputo e della Renamo, la guerriglia antimarxista sostenuta dal Sudafrica dell?apartheid, misero fine a 19 anni di una guerra civile che aveva insanguinato il Paese con un milione di morti. Firmando gli accordi di pace proprio nella Città eterna, al ministero degli Affari esteri. Un Paese miracolato Da allora, quello che è uno degli Stati più poveri del mondo, con un?aspettativa di vita media che non supera i 36 anni e il 30% della popolazione destinato nel medio periodo a essere contagiato dall?Aids, appare nonostante tutto un Paese miracolato nello scenario africano. Se si pensa a quello che è accaduto e accade in Ruanda, Congo, Angola, Sudan, Eritrea, Etiopia, Zimbabwe, Costa d?Avorio, almeno in Mozambico una pace che tutti davano per fragile e destinata ad affogare nel sangue dura da due lustri, senza clamorosi colpi di coda. E gli antichi nemici del Frelimo e della Renamo non si sgozzano più a colpi di machete nelle foreste, ma siedono accanto nell?austero parlamento di Maputo a costruire insieme, da principianti, un?embrionale dialettica democratica. Colpisce, la collettiva amnesia italiana sull?anniversario della pacificazione mozambicana. Soprattutto se si tiene conto che in quella vicenda tanti italiani giocarono una parte essenziale. Per una serie di motivi storici, occasionali e personali, gli italiani erano quelli che avevano i migliori rapporti bilaterali coi belligeranti. Tanto che Boutros Ghali, all?epoca segretario delle Nazioni unite, definì quella in Mozambico «una pace italiana». Erano italiani 3 dei 4 mediatori: lo storico Andrea Riccardi e don Matteo Zuppi, della Comunità di Sant?Egidio, e il parlamentare Mario Raffaelli, all?epoca sottosegretario del ministero degli Esteri, in rappresentanza del governo di Roma. Il quarto era il mozambicano monsignor Jaime Gonçalves, arcivescovo cattolico di Beira. Più in profondità, era italiano il congegno stesso che favorì e accompagnò quella insperata pacificazione. Un cocktail originale in cui si fondevano l?iniziativa tenace del movimento cattolico con base a Trastevere e il lungimirante supporto all?impresa offerto dietro le quinte, e senza coinvolgimenti diretti, dal governo italiano. Giulio Andreotti, prima come ministro degli Esteri e poi come presidente del Consiglio, fornì sempre all?iniziativa di pace un fondamentale ?ombrello? di protezione politica. Come scrive Roberto Morozzo Della Rocca nel volume Mozambico, una pace per l?Africa (Leonardo International), «Andreotti non interferiva nella trattativa, ma la sosteneva e ne attendeva gli esiti». All?italianità del dispositivo contribuì anche il coinvolgimento ?ufficioso? di alcuni rappresentanti del Vaticano, come il cardinale Achille Silvestrini, allora segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, e il cardinale Roger Etchegaray, che visitò il Mozambico come ?ambasciatore? del Papa nell?estate 1987. Ebbe carattere tutto italiano anche il contributo offerto allo sprigionarsi del processo di pace da autorevoli rappresentanti della vecchia guardia del Partito comunista italiano, come Enrico e Giovanni Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Gerardo Chiaromonte. Senza poteri forti La matrice italiana della mediazione aiuta a comprendere anche i tratti assolutamente originali che segnarono il processo di pacificazione. Una pace raggiunta con mezzi poveri, senza il coinvolgimento e anzi quasi nel disinteresse dei poteri forti. Dove non si puntò sulle iniziative spettacolari e a effetto di qualche presidente o ex presidente illustre. Dal punto di vista economico la pace in Mozambico, fino al momento della firma di Roma, costò secondo stime attendibili un milione e 350mila dollari. Una cifra risibile, se paragonata ad altre mediazioni. Non c?erano soldi per ?comprare? la pace. I rappresentanti dei due schieramenti, quando venivano a Roma per le fasi di trattativa, alloggiavano in alberghi modesti o negli austeri locali del convento di Sant?Egidio, a Trastevere. Non c?era ombra di quegli appannaggi ?per diem? attribuiti ai negoziatori in altri processi di pace, che finiscono per allungare i tempi delle trattative, trasformate un vero e proprio business. La ?leggerezza? della struttura di mediazione, affidata per buona parte a un movimento cattolico e senza eccessivi coinvolgimenti ufficiali da parte di istituzioni dello Stato, era una debolezza ma anche una risorsa, che permetteva la massima duttilità d?azione e di scelta per affrontare tutti i problemi della trattativa. Non c?erano strumenti di ricatto politico economico con cui esercitare una pressione tra i contendenti. E in una situazione così incancrenita a poco sarebbe valso l?imporre soluzioni prefabbricate, scadenze, documenti provvisori, ultimatum. Paragoni imbarazzanti Anche la pazienza e la duttilità mostrata per conseguire lo scopo testimoniano che la trattativa mozambicana si muoveva nella tradizione di realismo e moderazione tipica della politica estera italiana del dopoguerra. I dispositivi degli accordi di pace, una volta avviati, erano molto più dettagliati rispetto a casi analoghi, in primis quello angolano dove la pace raggiunta già nel 1992 veniva travolta da nuovi bagni di sangue. Così come sono finiti male, anche di recente, i modelli di trattativa segnati dalla fretta di chiudere, della ricerca della soluzione magica, dell?insofferenza verso le inevitabili difficoltà che si incontrano nell?affronto di problemi complessi. Ma come ha detto Andrea Riccardi, durante la commemorazione per il decennale della pace mozambicana, «allora il Mozambico era vicino. Adesso appare infinitamente lontano». Adesso, il vacuo spettacolarismo e la mancanza di disegno e di originalità che segna la politica estera italiana si coglie anche nella totale dimenticanza di fronte alle tante crisi che dilaniano l?Africa, così tremendamente vicina. Anche presidenti e primi ministri africani, quando vengono a Roma, fanno fatica a essere ricevuti da qualche funzionario governativo di secondo rango. E allora è preferibile non fare confronti imbarazzanti col passato. Ecco forse, perché è meglio dimenticarsi di quella «pace italiana» di dieci anni fa.


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