Politica

Un altro premio anti Fmi. Un Nobel a chi affonda il Fondo

Il riconoscimento a Kahneman. Due anni fa Mc Fadden, nel 2001 stiglitz. Ora il grande studioso americano che ha demolito molti dogmi dell’economia di mercato.

di Fabrizio Tonello

Per quasi 35 anni sono stato coinvolto, quasi accidentalmente, in una discussione sulla razionalità umana», ha detto modestamente Daniel Kahneman all?università di Trento, dove il 14 ottobre gli è stata attribuita la laurea honoris causa in economia. Due giorni prima a Kahneman era arrivato un altro riconoscimento: il premio Nobel. Kahneman e il suo collega Amos Tversky (deceduto nel 1996) hanno dedicato la loro intera vita professionale a indagare sperimentalmente il modo in cui il singolo individuo prende delle decisioni. «Alcuni nostri risultati hanno suscitato l?interesse degli economisti poiché si ponevano come sfide al modello dell?agente razionale, al quale in economia è riservato un ruolo fondamentale e che da molti è considerato il paradigma dominante nelle scienze sociali», ha continuato, sempre con eccessiva modestia, Kahneman. I conti da rifare La microeconomia è oggi una teoria delle preferenze del consumatore considerate come coerenti, stabili nel tempo e corrispondenti alla teoria dell?utilità attesa. Esse devono soddisfare i criteri di dominanza (ovvero deve esistere un paniere di beni preferito agli altri) e di invarianza (cioè non cambiare in presenza di una diversa descrizione degli stessi beni). Gli economisti continuano a difendere l?uso di questo modello benché molti psicologi, tra cui Kahneman, ritengano che «le deviazioni dal comportamento razionale siano sistematiche, diffuse e portatrici di conseguenze». Una delle aree indagate da Kahneman è quella della cosiddetta avversione al rischio, terreno dove hanno dimostrato che il comportamento empiricamente rivelato si discosta nettamente dai modelli della microeconomia. Per esempio, la maggior parte di noi preferisce la certezza di ricevere 800 dollari a una probabilità dell?85% di vincerne 1.000, anche se questa seconda opzione offre un risultato matematicamente superiore: 0,85 x 1.000 + 0,15 x 0 = 850. In altre parole, scegliamo un?opzione che, calcolando esattamente le probabilità, risulta meno favorevole dell?altra. Una dubbia razionalità A Trento il freschissimo premio Nobel 2002 si è soffermato sul problema del framing, cioè della presentazione dell?alternativa, che nel modello dell?attore razionale non dovrebbe esistere in base al principio dell?invarianza delle preferenze. «Considerate questi due modi di descrivere i risultati statistici di un intervento chirurgico», ha detto Kahneman. «?Il tasso di mortalità nell?arco dei sei mesi successivi è del 10%? oppure ?Il tasso di sopravvivenza nell?arco dei sei mesi successivi è del 90%?. Le due frasi sono descrizioni dello stesso risultato ma una delle due incute più timore dell?altra. Ricerche condotte da Tversky indicavano che i pazienti tendevano a evitare l?intervento chirurgico se l?esito era descritto in termini di tasso di mortalità, anziché di sopravvivenza. L?effetto framing costituisce una prova importante che sconfessa il modello dell?agente razionale». L?esempio dell?intervento chirurgico non è l?unico: Kahneman e Tversky hanno scoperto che esiste negli umani una generale ritrosia verso le ?cattive notizie?, ritrosia che esiste anche quando siamo noi stessi che dobbiamo comunicare a noi stessi che qualcosa è andato male. Supponete di possedere due pacchetti di azioni di valore equivalente e di doverne vendere uno. Le azioni A, che avevamo comprato a 10 euro, ne valgono oggi 15. Le azioni B, che avevamo comprato a 30 euro, oggi ne valgono 25. Quale dei due pacchetti vendete? Se la vostra risposta è A, siete d?accordo con quanto la maggioranza dei risparmiatori, e perfino degli agenti di Borsa, farebbe. Peccato che si tratti della risposta sbagliata per due ragioni: primo, i guadagni di Borsa vengono tassati, mentre le perdite sono deducibili e quindi vendendo il pacchetto B si ottiene una somma maggiore. Secondo, se le azioni della società A vanno bene è probabile che sia ben gestita e abbia buon prospettive per il futuro, al contrario della società B, il cui futuro è giudicato dagli specialisti più incerto, cosa che si è riflessa sul valore delle azioni. La vera ragione per cui tutti noi tendiamo a vendere le azioni A è la reticenza ad accettare le perdite, perdite con cui dobbiamo confrontarci soltanto nel momento in cui vengono chiusi i conti, con la vendita per l?appunto. Questa volontà di rinviare l?inevitabile fa scattare l?effetto bracketing, ci fa isolare mentalmente il problema delle azioni A da quello delle azioni B e ci fa cercare razionalizzazioni per la vendita del pacchetto sbagliato. Sono decine gli esempi che Tversky e Kahneman hanno illustrato nei loro lavori, in particolare in Choices, values and frames, pubblicato nel 2000. Commentando il Nobel a Kahneman, molti hanno concentrato l?attenzione sull?aspetto sperimentale dei suoi studi, presentandolo come un contributo alla comprensione del funzionamento dei mercati. Nessuno ha sottolineato che i suoi lavori obbligano a trarre una conclusione radicale: se il modello dell?homo oeconomicus è così lontano dal comportamento empiricamente verificabile del consumatore, come sostiene Kahneman, cosa resta delle fondamenta della teoria economica? Un modello a pezzi La risposta è: nulla, perché i postulati da cui parte la teoria neoclassica (preferenze esogene, coerenti e stabili nel tempo) sono necessari a tenere in piedi l?intera costruzione. L?impianto concettuale dell?economia moderna, fondato su modelli autovalidanti e lontani da ogni verifica empirica, si dimostra una costruzione teologica, il vitello d?oro dei tempi moderni. Questa era del resto anche la convinzione del premio Nobel per l?economia del 2000, Daniel McFadden, che l?anno scorso scrisse in un articolo per Il Sole 24ore che anche l?ultima reincarnazione del tipo ideale del consumatore razionale, quello della scuola di Chicago, è «una specie in via di estinzione». Se aggiungiamo a quello di McFadden il Nobel nel 2001 a Joseph Stiglitz, ormai considerato un appestato dai suoi ex colleghi del Fondo monetario, la conclusione d?obbligo è che il comitato svedese si è pentito di aver assegnato 18 premi Nobel di fila agli adoratori del mercato. Qualcuno lo spiegherà anche ai farisei del Fondo monetario e ai loro seguaci italiani?


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