Non profit
Meno pigrizia, e più senso della comunità
Dal 2004 Fausto Casini è presidente nazionale delle Anpas; ricopre anche la carica di presidente nazionale degli enti per il servizio civile (Cnesc)...
Negli ultimi tempi si alzano sempre più alte le voci di chi sostiene, numeri alla mano, il calo della presenza dei giovani nelle organizzazione di volontariato. Le cifre che supportano queste tesi andrebbero però prese con cautela. Quel dato andrebbe rapportato ai trend demografici generali che registrano un invecchiamento complessivo della popolazione. Occorre tener presente, poi, che le nostre regioni più giovani sono concentrate a Sud, dove la presenza del volontariato organizzato, l?unico realmente rilevabile, è meno capillare. Il volontariato nasce e si sviluppa dove le istituzioni funzionano e non necessariamente dove le ferite sociali sono più profonde. Accade in tutto il mondo. D?altra parte, nelle regioni ricche è difficile fare il volontario, quando il lavoro c?è ma è precario e ti impedisce di organizzare la tua vita in modo ordinato.
Detto questo la questione della relazioni fra le nostre organizzazioni più strutturate e i giovani esiste anche se non credo corretto l?approccio che si sviluppa dall?analisi quantitativa. In alcune regioni il volontariato ha vissuto una fase di espansione in coincidenza con la crisi della politica. I partiti, da luogo di elaborazione e di impegno sono ormai considerati da molti e anche nelle regioni del Nord come luoghi di mera spartizione di potere. Questo ha favorito la scelta di un?esperienza che privilegia il lavoro gratuito ma ha anche consentito a molti il disimpegno rispetto alla soggettività politica delle associazioni.
La fiducia interrotta
Ritengo che questa fase di ?demonizzazione della politica? sia in declino e lasci il posto ad una specie di rassegnazione rispetto all?impossibilità di creare relazioni organizzate e collaborative che abbiano come fine il bene comune. Al punto che anche il volontariato si trova a dover ricostruire un rapporto fiduciario con la collettività partendo da relazioni di comunità e non basta più l?aureola della gratuità per creare fiducia. In questo credo che abbia una grossa responsabilità l?esempio della politica ?da stadio? che passa sui media, e che mina la fiducia nelle relazioni collaborative.
Alcuni contesti, le parrocchie per esempio, ma anche i luoghi di aggregazione spontanea (ad esempio, ?il muretto?) non sono più frequentati e si privilegia fin da giovani il consumo rispetto alla vita dei luoghi. Questo per il volontariato rappresenta due problemi: il giovane viene educato a cercare prodotti e servizi e a gioire della loro qualità legando in modo indissolubile il tempo e il denaro, l?altro è che l?esempio non è più il leader del gruppo spontaneo ma il prodotto mediatico, il bravo calciatore diventa un modello per l?abbigliamento o per il linguaggio cosa in cui sicuramente non dovrebbe eccellere. Non si cercano più esperienze comunitarie. Molto spesso si vive l?esperienza di un turno di servizio e si socializza con i propri compagni di servizio senza poi vivere l?associazione e questo è accentuato dalla strutturazione forte delle associazioni che svolgono servizi ?pesanti?.
Un altro nodo risiede nella pigrizia delle associazioni più strutturate a ricercare nuovi canali e linguaggi di contatto. La porta d?ingresso del servizio civile non può costituire l?unica strada. Il contatto con le nuove generazioni deve avvenire prima dei 18 anni. Arrivo a dire prima anche dei 16 anni, che è l?età minima per fare volontariato. Bisogna arare il terreno con anticipo. Come? Portare i volontari nelle scuole può essere una carta vincente; ma a patto che non ci si proponga ai ragazzi con prediche moraliste ma che si insegni come si possa fare protezione civile, difesa ambientale, cura della persona, prevenzione delle malattie, cura della persona: insomma poche prediche e molta esperienza.
Accompagnare, non mandare
Quando leggo statistiche che registrano un boom nella nascita di piccole associazioni che non aderiscono ad alcuna rete, mi preoccupo, per me aderire ad una rete locale significa porsi l?obiettivo di migliorare la propria comunità rifuggendo da integralismi e individualismo, senza poi pensare a quelle organizzazioni piccole e familistiche dove il corpo volontario è fatto di pochi, magari parenti. Questa tendenza non costituisce un arricchimento, significa invece che cresce il numero delle persone che continua a voler lavorare nel proprio orticello, pensando solo agli effetti diretti delle proprie azioni e non ad un modello di società.
Guardando al futuro però sono ottimista. Nei giovani delle ultime generazioni leggo stanchezza verso i modelli proposti. Ormai la televisione annoia. Dimostrano una voglia di relazioni, dieci anni fa inesistente. Purtroppo però gli adulti continuano a battere sul chiodo della predicazione; se si vuole davvero educare si deve ?accompagnare? e non ?mandare? gli altri. Forse invece sono proprio gli adulti ad aver bisogno di imparare e i giovani sono la loro possibilità di innovarsi.
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