Volontariato

Ferrero, un viaggio dietro la nuova legge

Nel libro "Viaggio nell'Italia dell'immigrazione" tutte le tappe e le voci che hanno ispirato la nuova legge sull'immigrazione licenziata stamani dal Consiglio dei Ministri

di Redazione

di Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale

In questi anni è stato grazie all?impegno degli enti locali, dei Comuni, delle Regioni, delle Province e delle associazioni che si è mantenuto in Italia un certo grado di civiltà sui temi dell?immigrazione. È grazie a questi soggetti se oggi siamo in grado di discutere del futuro dell?immigrazione nel nostro Paese. Nel corso del viaggio che abbiamo compiuto nelle regioni italiane abbiamo sentito molte cose che non funzionano, anche attraverso testimonianze toccanti. Penso in particolare ad una ragazza moldava che ci ha raccontato la vicenda di suo fratello che indica come un immigrato possa cadere facilmente in un circuito fatto di espulsioni da cui non riesce più a uscire: può lavorare, vivere normalmente in questo Paese, eppure finire per essere espulso o per pensare che l?unica scelta che gli rimane sia quella di tornare a casa. Penso anche alla situazione assurda che ci hanno raccontato dei pescatori tunisini che sono nella condizione di non poter scendere dalla barca sulla quale lavorano, perché se scendono violano la legge sull?immigrazione.

Se la bossi-fini costringe alla clandestinità Nonostante l?assurdità evidente di questi casi, che viene giustamente denunciata, sono le leggi che prevedono tutto ciò. Ad esempio, delle 520mila domande del decreto flussi 2006, almeno i tre quarti sono state presentate da persone immigrate che vivono già in Italia. Il problema è che la legge tuttora vigente, la Bossi-Fini, obbliga nei fatti gli immigrati a ricorrere a questi espedienti. Mi rendo ben conto delle situazioni assurde a cui vanno incontro gli immigrati che fanno parte del Decreto Flussi e che sono state denunciate durante i nostri incontri, ma un Governo deve rispettare le leggi e non può fare altro nonostante il senso di impotenza, che personalmente provo come Ministro. Ritengo che per superare questa situazione debbano essere compiuti subito alcuni passi. Innanzitutto, comprendere come cambiare la legge attraverso l?ascolto, ed è quello che abbiamo fatto, insieme al sottosegretario Cristina De Luca, con il nostro viaggio nell?immigrazione. Contemporaneamente occorre lavorare a modificare il senso comune nel Paese. Veniamo infatti da una situazione in cui si è discusso per lungo tempo in termini di ?manifesti della civiltà occidentale?, si è proposto uno ?scontro di civiltà? che facesse leva sulle paure della gente, per tentare di consolidare l?idea che l?unica strada possibile fosse quella di leggi che ?tiravano giù la saracinesca?. In questi dieci mesi, a partire dal maggio 2006, abbiamo cercato di far comprendere come la legge Bossi-Fini non funzionasse e come fosse una legge che rendeva clandestine molte persone e che favoriva, in generale, la clandestinità. Questo perché il meccanismo di funzionamento di questa legge rende quasi impossibile entrare regolarmente in Italia. La Bossi-Fini prevede infatti che un extracomunitario debba avere un datore di lavoro che lo richieda nominativamente senza averlo mai visto né conosciuto, che faccia domanda alle Poste e aspetti di avere una risposta in base al decreto flussi. Questo non succede quasi mai, perché è ovvio che un datore di lavoro voglia prima conoscere il lavoratore che intende assumere. È difficile, ad esempio, che una famiglia assuma un?assistente domiciliare senza averla mai vista prima. C?è voluto del tempo per spiegare questa assurdità: vale a dire che le persone non entrano clandestinamente, o con un visto turistico, in Italia perché gli piace, entrano clandestinamente perché non possono fare altrimenti. Così come c?è voluto del tempo per spiegare che c?è un legame tra una legge, la Bossi-Fini, che obbliga alla clandestinità moltissimi immigrati e la tolleranza verso l?evasione fiscale e contributiva, e il dilagare della precarizzazione del lavoro. La Bossi-Fini è una legge sull?immigrazione ma è anche una legge sul mercato del lavoro che rompe l?unitarietà del mercato del lavoro, mettendo una quota non piccola di lavoratori in condizione di clandestinità, escludendoli dall?esercizio dei diritti, rendendoli nei fatti senza diritti.

Una nuova legge per governare un fenomeno strutturale
Abbiamo seguito questo percorso per arrivare alla modifica della legge, che mentre esce questo libro stiamo per presentare. Ragioniamo insieme su quali elementi inciderà la nostra proposta. In primo luogo sulle modalità di ingresso. Penso che questo sia il problema principale: bisogna definire un modo attraverso cui un fenomeno strutturale, come è quello dell?immigrazione, possa avvenire in larghissima parte in modo regolare invece che in modo irregolare e clandestino. Dico strutturale perché l?immigrazione è il frutto di due elementi: il primo, la legittima aspirazione di persone che vivono in Paesi più poveri dell?Italia a venire in Italia per migliorare le loro condizioni di vita; il secondo, che l?Italia è un Paese a bassa natalità, la più bassa d?Europa, e ha bisogno, per mantenere il suo sistema produttivo di 250-300mila persone l?anno in più. L?Italia ha bisogno degli immigrati per far funzionare le proprie industrie e per prendersi cura dei propri anziani, in assenza di una rete di servizi tali da garantire l?assistenza agli anziani e ai non autosufficienti. Se l?immigrazione è un fenomeno strutturale, dovuto alla spinta da fuori ad entrare, ma anche prodotto dal bisogno interno di lavoratori, occorre trovare il modo affinché sia legale. Sottolineo particolarmente questo elemento perché dei 3 milioni di immigrati che oggi vivono da regolari in Italia, l?80% è passato prima attraverso la clandestinità. Bisogna, a mio avviso, avere a disposizione una pluralità di modi per entrare regolarmente in Italia. Pluralità di modi significa prevedere un decreto flussi triennale e soprattutto realistico rispetto ai bisogni effettivi di personale. Se si ipotizza un fabbisogno di 250- 300mila persone all?anno, occorre prevedere un decreto flussi di pari dimensioni. Dovrebbe essere possibile regolare per legge sia chi entra perché ha un datore di lavoro che lo manda a chiamare, uno sponsor individuale, ma anche se a chiamarlo è uno sponsor istituzionale o se è lo stesso immigrato che si sponsorizza da sé, garantendo con una quota di denaro il fatto di potersi mantenere mentre cerca lavoro. Allo stesso modo si dovrebbe regolare l?ingresso in Italia di quanti hanno fatto, prima di emigrare, dei corsi di formazione nei loro Paesi d?origine e, credo, sia davvero importante potenziare i corsi di formazione nei Paesi da cui partono i maggiori flussi migratori.

Una legge per accompagnare, con i comuni protagonisti
I canali reali dell?immigrazione sono in larga parte legati alle relazioni familiari e comunitarie: le persone si dirigono nei luoghi dove conoscono già qualcuno. C?è pertanto bisogno di una legge che sia in qualche modo flessibile per accompagnare naturalmente il fenomeno migratorio e favorire la regolarità. Questo non risolverà ovviamente tutti i problemi, sarebbe utopistico pensare di governare al 100% il fenomeno nella regolarità. Considererei un grande successo riuscire a contenere la clandestinità entro il 20% del fenomeno globale, rispetto all?80% attuale. Il secondo punto chiave della nuova legge riguarda la modifica dei tempi e delle modalità di accesso ai permessi. Per l?ingresso è ovvia la competenza del Ministero degli Interni, attraverso l?autorità di Pubblica Sicurezza. Per quanto riguarda invece il rinnovo dei permessi di soggiorno occorre spostare la competenza – semplificando le procedure – sugli enti locali, prevedendo una durata dei permessi di soggiorno almeno doppia rispetto a quella attuale. Sarebbe illogico, infatti, rischiare che, da un lato, vi siano persone che entrano nella illegalità o nell?impossibilità di vivere quotidianamente perché il permesso non viene rinnovato in tempo e, dall?altro, che gli uffici dello Stato siano intasati da migliaia di pratiche inutili. Vi è un problema da risolvere, quello della convenzione con le Poste, firmata dal ministero degli Interni nella passata legislatura. L?attuale ministero degli Interni ha ereditato quell?accordo del Governo Berlusconi e sta ora affrontando il problema di come trasferire subito le competenze ai Comuni. L?Anci – Associazione nazionale Comuni d?Italia e il ministero degli Interni stanno definendo le modalità e i tempi di questo passaggio. Nella legge il passaggio di competenze ai Comuni costituirà un punto di arrivo.

Rompere il legame tra espulsione e circuito penale
Il terzo punto riguarda la necessità di superare la dimensione del ?diritto speciale? per gli immigrati e del circuito penale da cui molti di loro non riescono ad uscire. Su questo punto c?è una discussione politica aperta. Mi pare che ci sia un consenso generale sul superamento del fatto che la sola violazione delle leggi sull?immigrazione determini l?ingresso dell?immigrato in un circuito penale. Questo rappresenta un notevole passo in avanti sul piano della civiltà giuridica. Mentre è ancora aperta la questione delle espulsioni. Non si può aggirare una questione di quadro: siamo in Europa, abbiamo aderito agli accordi di Schengen, l?Italia non può autonomamente decidere di non espellere chi entra clandestinamente. Si sta lavorando alla possibilità di prevedere degli accordi di uscita concordata. Infatti ritengo che sia molto diverso essere espulsi e non poter rientrare per 10 anni, rispetto ad accettare di uscire senza avere un vincolo per gli anni da attendere per poter rientrare e quindi avere la possibilità di trovare un canale legale per l?ingresso nel nostro Paese. Diverso ancora è accettare di tornare nei Paesi d?origine con dei soldi per aprire un?attività. L?espulsione può essere fatta in tanti modi: può essere fatta come avviene oggi, in un modo che costruisce nei fatti un circuito penale da cui non si riesce più a uscire. Oppure, in un modo che accompagni chi è interessato all?espulsione.

Basta con la giurisdizione ?speciale?
Sui Cpt la discussione è ancora in corso, la mia opinione è chiara: occorre arrivare al loro superamento. I Cpt mettono insieme persone che non dovrebbero stare insieme. Chi sta in carcere deve essere identificato in carcere. Oggi succede, invece, che se finisce in carcere per aver commesso un reato un immigrato di cui non si conoscono le generalità, questi non viene identificato in quella sede e poi, finito il periodo di detenzione in carcere, va per sessanta giorni in un Cpt per essere identificato. L?altra modalità è quella delle persone che hanno semplicemente violato le regole sull?immigrazione. Queste persone devono essere identificate in un centro d?identificazione, che non deve avere nessuna delle caratteristiche del carcere. I due casi devono essere chiaramente distinti: un delinquente sta in galera e lì deve essere identificato, una persona che è entrata illegalmente in Italia sta in un centro di identificazione. Per identificare una persona non servono sessanta giorni, perché o si riesce a fare nei primi sette giorni – magari perché c?è un accordo con il Paese di origine che permette facilmente l?identificazione – oppure è molto probabile che non si riesca a fare più e quindi non si capisce perché protrarre la permanenza a sessanta giorni in un Cpt. Il Cpt contiene un errore all?origine: quello di considerare il migrante, sia egli un assassino o una persona che è entrata col visto turistico e si è fermata due mesi in più della scadenza di quel visto, allo stesso modo. Questo è il ?diritto speciale? per gli immigrati che sottende all?idea stessa del sistema Cpt. Penso che si debba rispondere in forme democratiche, degne di uno Stato civile, alle esigenze di espulsione. Quando è necessaria l?espulsione, questa necessità si può attuare in forme civili.

Cittadinanza significa anche diritto di voto
Il quarto punto della nuova legge sull?immigrazione riguarda il diritto di voto. Il diritto di voto alle elezioni politiche è connesso alla cittadinanza e il disegno di legge sulla cittadinanza che è stato presentato, prevede che questo possa avvenire dopo 5 anni. La proposta è perciò quella di dimezzare i tempi rispetto alla legge attualmente in vigore. Per quanto riguarda il diritto di voto alle elezioni amministrative, prevediamo che si applichino le stesse condizioni degli altri cittadini comunitari. E quindi vi sia l?elettorato attivo e passivo dopo un certo numero di anni di permanenza in Italia. Un altro grande capitolo è quello dei minori non accompagnati per cui si prevede l?istituzione di un apposito Fondo e la modifica delle normative relative al rimpatrio di chi raggiunge la maggiore età. Fin qui il piano normativo, ma vi è anche un problema di modifica più generale del funzionamento dello Stato. Ad esempio, abbiamo moltissimi consolati in Svizzera e in Germania – cioè nei Paesi verso cui si è indirizzata l?emigrazione italiana negli anni 50 e 60 del Novecento – e non abbiamo sufficienti strutture in Marocco o Algeria, Paesi da cui provengono oggi molti immigrati che arrivano in Italia. Occorre cambiare questa situazione.

Il welfare al centro
In questi anni certa politica ha spesso insistito sugli elementi di conflitto tra gli italiani e gli immigrati. Considerando questo approccio, del tutto sbagliato, credo si possa però riflettere sul fatto che conflitti sul mercato del lavoro ce ne sono ben pochi, ma c?è invece la possibilità che un conflitto si accenda sullo Stato sociale. Casa e servizi a domanda individuale sono punti di sofferenza perché in un regime di risorse scarse dove le liste d?attesa sono molto lunghe è possibile che scatti la guerra tra i poveri. Mentre vedo pochi episodi di guerra tra i poveri sul tema del lavoro, ne vedo molti sulle graduatorie per l?accesso alle case popolari. Potenziare il welfare è decisivo per battere il razzismo e favorire l?inclusione sociale. Il welfare non può essere considerato solo una spesa: è un investimento sociale decisivo. Un percorso, da questo punto di vista si è aperto: nella Finanziaria 2006 abbiamo raddoppiato il Fondo per le politiche sociali, riportandolo quasi a un miliardo di euro come era prima dei tagli fatti dal Governo precedente; abbiamo istituito un Fondo per l?inclusione dei migranti di 50 milioni di euro. Nella nuova legge sull?immigrazione prevediamo di costituire un Fondo per i minori non accompagnati. Si tratta di un fenomeno non molto esteso, ma è chiaro che se in un piccolo Comune si trovano dieci minori non accompagnati il sindaco non ha le risorse per affrontare il problema. Su questo tema stiamo anche lavorando per costituire un tavolo di confronto con l?Anci. L?altro punto decisivo riguarda la casa: si tratta di avere più risorse per il problema abitativo. Recentemente è stato approvata la legge che blocca gli sfratti per le categorie più deboli, che contiene anche la proposta di un ?piano casa? articolato. Nel 1984 si costruivano 37mila alloggi pubblici, nel 2004 se ne sono costruiti 1.900 e nel frattempo si è svenduto quasi tutto il patrimonio pubblico. Oggi il problema della casa è un disastro per gli strati sociali a basso reddito, bisogna intervenire rapidamente perché altrimenti si corre il rischio che si costruiscano dei veri e propri ghetti nelle città. O che sulla casa si aprano dei conflitti tra gli italiani e gli immigrati. Prospettiva, quest?ultima, che appare particolarmente assurda, perché facilmente evitabile in Italia. Nel nostro Paese non esistono banlieue perché l?immigrazione non è emersa in un periodo di espansione industriale, ma in un periodo in cui il tessuto produttivo è molto più decentrato. Di conseguenza, a differenza della Francia, gli immigrati si sono insediati in modo molto più frastagliato sul territorio. Naturalmente riflettere sull?immigrazione nel nostro Paese significa anche soffermarsi sull?idea di società a cui si guarda per il futuro. Come dicevo, a me pare che il fenomeno dell?immigrazione sia strutturale. L?idea su cui ci muoviamo è sostanzialmente questa: l?Italia è destinata nei prossimi anni a vedere aumentare il numero degli immigrati e quindi gli elementi di diversità presenti sul suo territorio. Oggi ci sono 3 milioni di immigrati, tra vent?anni saranno due o tre volte tanto. Quindi, una quota consistente della popolazione, in particolare tra i giovani. Del resto già oggi in tante città il numero dei bambini immigrati presenti nelle classi scolastiche è simile a quello degli italiani.

L?italiano lingua dell?incontro
In questa prospettiva penso che sia possibile definire una strada attraverso la quale questo fenomeno non produca elementi di razzismo o elementi di segregazione, sofferenza e violenza. L?idea è che alla base della costruzione di una società in cui queste diversità possano convivere, c?è prima di tutto la comune padronanza della lingua italiana. Il punto della conoscenza della lingua è decisivo per far sì che il territorio sia un luogo in cui le persone si incontrano e non il luogo dove nascono i ghetti e la separazione. Il lavoro sull?apprendimento della lingua italiana apre diverse prospettive. Si tratta di rilanciare il diritto allo studio nell?orario di lavoro, le cosiddette 150 ore. Con il ministero della Pubblica istruzione stiamo lavorando a un progetto sulla lotta alla dispersione scolastica. Inoltre, c?è un accordo con la Moschea di Roma per istituire corsi di italiano per favorire soprattutto le donne, per le quali potrebbe essere più facile seguire un corso in Moschea piuttosto che altrove. Si tratta di sviluppare e diffondere queste iniziative costruendo una vera e propria campagna per la lingua italiana. Ritengo sia importante mettere in condizione le persone che vivono in Italia di leggere un giornale, di vedere la televisione, di parlare con l?insegnante dei propri figli, di parlare con la vicina di casa e di andare al mercato: vale a dire fare tutte quelle cose che trasformano uno spazio in una rete di relazioni. In secondo luogo gli immigrati devono godere dei diritti civili e sociali: chi vive qui deve poterci stare nella regolarità e poter accedere alla cittadinanza italiana dopo un certo numero di anni. Se poi nasce qui deve poter essere automaticamente cittadino italiano. Tutto ciò non è un?elemosina per gli immigrati, ma espressione della consapevolezza che o i diritti civili e sociali sono uguali per tutti, oppure si finisce per correre il rischio che oggi si tolgono i diritti agli ultimi arrivati e domani si tolgono i diritti anche a tutti gli altri. Quindi si deve procedere attraverso il riconoscimento dei diritti civili e dei diritti sociali agli immigrati e, come ultimo elemento, si devono riconoscere le diversità culturali e di fede: ovvero ci vuole una legge sulla libertà religiosa che riconosca le diverse fedi che ci sono in questo Paese.

La libertà religiosa per costruire la convivenza
Questo vuol dire avere un?idea in cui da un lato si chiede all?immigrato di imparare la lingua e dall?altro gli si chiede il rispetto dei principi costitutivi del nostro vivere collettivo, cioè la Carta costituzionale, l?uguaglianza uomo-donna, i principi che regolano la convivenza civile. Di fronte a questo lo Stato italiano deve riconoscere le persone che vengono in questo Paese come soggetti portatori di diritti civili, sociali e di una propria identità. Così, sul tema del velo, di cui molto si è discusso, credo non sia giusto chiedere ad una donna musulmana di toglierlo. La storia del nostro Paese fa sì che le donne tendenzialmente in Italia non portino più il velo, ma si deve riconoscere il fatto che quaranta anni fa larga parte delle donne italiane, specie le più anziane, portassero il velo esattamente come oggi le loro nipoti indossano la minigonna. Entrambe sono italiane, la nonna porta il velo, la nipote la minigonna. Questa considerazione porta a un?idea di società che non è basata né sui ghetti, con comunità di migranti che rimangono ferme e chiuse su sé stesse, né su una finta e forzata omologazione, bensì sull?idea che l?identità delle persone possa essere rispettata – ovviamente se rispetta le forme della civile convivenza e le nostre leggi – e che questa stessa identità, non respinta né negata, possa anche progressivamente modificarsi. Se l?immigrato viene in Italia e percepisce la necessità di difendersi da un ambiente ostile che non gli riconosce i diritti civili e sociali, non riconosce la sua cultura e la sua religione, può sentirsi obbligato a proteggere la sua identità in modo statico. È così che si finisce per ?tirare su i muri?. Credo che si debba invece lavorare a ?tirare giù i muri?, garantendo diritti in cambio del riconoscimento delle regole della nostra civile convivenza.

Una legge non basta, occorre più società
Non vedo altri modi per rispondere positivamente a una situazione complicata, perché è complicato costruire una società dove convivano molte diversità, ma è l?unica soluzione. L?alternativa sarebbe quella di usare il ?diverso? come capro espiatorio, come è stato fatto per molto tempo nel nostro Paese, provocando e alimentando sofferenze dall?una come dall?altra parte, ma sarebbe un?alternativa barbarica e incivile. La strada che abbiamo cercato di intraprendere è possibile solo se le comunità locali, le Regioni e il tessuto sociale del Paese – l?associazionismo, le organizzazioni sindacati, quelle dei migranti – sono protagonisti e non passa solo attraverso una nuova legge. La strada dell?inclusione sociale e in definitiva dell?Italia come paese civile non la si percorre solo perché si cambia una norma: è necessario un tessuto sociale nel Paese in grado di percorrerla. Spero che saremo in grado, tutti insieme, di farlo.

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SOMMARIO
di Viaggio nell’Italia dell’immigrazione
a cura di Elisa Cozzarini
Interventi di Cristina De Luca e Paolo Ferrero

Nota di edizione
di Riccardo Bonacina pag. 5
Quel che resta di un viaggio
di Cristina De Luca pag. 7
Non solo nuova legge, ma un?altra idea di società
di Paolo Ferrero pag. 11
Umbria
Il racconto: Insieme per una casa.Ecco il quartiere della convivenzapag. 21
Dalla storia di questa terra i frutti di una buona integrazione
di Maria Rita Lorenzetti pag. 27
Lazio
Il racconto: Scendono in campo le seconde generazionipag. 29
L?integrazione sia fondata sui diritti e sui doveri
di Piero Marrazzo pag. 35
Toscana
Il racconto: Dalle Consulte al voto per avere più dirittipag. 39
Per una cittadinanza attiva ed effettiva
di Claudio Martini pag. 44
Campania
Il racconto: Lavoratori invisibili tra caporali e volontariatopag. 47
Il nostro compito: assicurare una convivenza paritaria e solidale
di Antonio Bassolino pag. 52
Abruzzo
Il racconto: La tratta di migranti non risparmia le vallipag. 55
La nostra terra d?emigrati sarà d?esempio. A partire dallo Statuto
di Ottaviano Del Turco pag. 60
Liguria
Il racconto: Le bandas di latinos diventano associazionipag. 63
Una nuova legge per uscire dall?emergenza
di Claudio Burlando pag. 68
Emilia Romagna
Il racconto: Se informare fa davvero rima con ascoltarepag. 71
Sempre meno ospiti, sempre più cittadini
di Vasco Errani pag. 76
Puglia
Il racconto: Il dramma dei rifugiati visti da vicinopag. 79
In network nel Mediterraneo per creare lavoro vero
di Nichi Vendola pag. 85
Piemonte
Il racconto: Da extracomunitari a neocomunitari. Che cambia?pag. 89
Consulta, il luogo dove si coniugano diritti e doveri
di Mercedes Bresso pag. 94
Friuli Venezia Giulia
Il racconto: La scuola dalle mille linguepag. 97
Una nuova legge e sportelli unici per l?immigrazione
di Riccardo Illy pag. 103
Trentino-Alto Adige
Il racconto: Trento e Bolzano, l?Università meticciapag. 107
Trento: Un Centro informativo contro la burocrazia
di Lorenzo Dellai pag. 112
Bolzano: Un Coordinamento per combattere il razzismo
di Luis Durnwalder pag. 113
Lombardia
Il racconto: I centomila operai e i trentamila imprenditoripag. 117
Incontro e confronto tra identità per guardare al futuro
di Gian Carlo Abelli pag. 122
Sardegna
Il racconto: Rom e Sinti alle prese con la legge Tizianapag. 125
Grazie agli immigrati salveremo il nostro saldo demografico
di Renato Sorupag. 132
Marche
Il racconto: Il welfare nascosto delle badanti immigratepag. 135
Migranti, un?occasione di crescita per la comunità regionale
di Gian Mario Spacca pag. 138
Sicilia
Il racconto: L?isola ponte verso Africa e Medio Orientepag. 141
Un modello Mediterraneo di integrazione
di Salvatore Cuffaro pag. 146
L?immigrazione in Italia numero per numero pag. 149
Tabelle: il riepilogo nazionale pag. 154
Le principali Associazioni pag. 157
In questo volume mancano i capitoli relativi alle Regioni Calabria e Veneto perché gli incontri, al momento della pubblicazione del libro, non si erano ancora svolti.


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