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Il mio interesse e la politica

Non offende questi o quegli elettori, ma il senso stesso della politica civile, la finissima frase del presidente del consiglio...

di Riccardo Bonacina

Non offende questi o quegli elettori, ma il senso stesso della politica civile, la finissima frase del presidente del consiglio (letterale): «Ho troppa stima dell?intelligenza degli italiani per pensare che ci siano così tanti coglioni che possano votare facendo il proprio disinteresse». Vediamo. Le ultime parole, improprie, sono state intese da tutti con questo significato: «votare contro il proprio interesse». è molto probabilmente questo ciò che voleva dire l?oratore. Infatti, ?disinteresse? significa: 1) mancanza di interesse per qualcosa, o 2) spassionatezza, imparzialità, o 3) noncuranza di ricavare un utile, materiale o morale (Zingarelli, 1986). In quella frase intera, che parla di voto politico, il terzo è l?unico significato possibile: sono dei fessi gli elettori che non fanno il proprio interesse. Infatti, nel senso generale di quel discorso, la frase non poteva significare: sono dei fessi gli elettori che non hanno interesse per il voto. E nemmeno poteva significare: sono dei fessi gli elettori che votano in maniera spassionata, imparziale. Ora, dire «sono dei fessi gli elettori che non fanno il proprio interesse», è un pensiero che degrada la politica, ed è rivelatore di quale infimo concetto della politica ha quell?uomo di governo, e dunque da quale concezione è guidata la sua politica, come già sapevamo. Ma c?è un altro pensiero e un?altra pratica: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne (uscirne) tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l?avarizia (l?egoismo)» (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, p. 14). Politica ed egoismo sono l?opposto l?una dell?altro. Fare il proprio particolare privato interesse, come principale e decisivo criterio politico, sotto pena di coglioneria, è la negazione della politica. La quale invece è la ricerca del bene di ciascuno con e insieme al maggior bene possibile di tutti, il classico ?bene comune?. Senza di ciò non c?è la politica, la vita insieme, ma la guerra di tutti contro tutti, lo smembramento della società (essere soci) in bande di rivali. Un popolo ?privatizzato? non è più in popolo. Senza popolo non c?è demo-crazia, ma al massimo la demo-cratura (dittatura elettiva). Enrico Peyretti, Verona Caro Peyretti, la sua lettera come alcuni dei commenti pubblicati dopo l?uscita grossière di Berlusconi (per citare la riflessione più alta, Claudio Magris su Il Corriere della sera), sottolineano un aspetto giustissimo, cioè che la politica è l?arte di ottenere il maggior bene per tutti, è l?arte della mediazione tra interessi diversi. O per dirla con Benedetto XVI, «la politica è la forma suprema di carità sociale». Una sottolineatura su cui certo non si possono fare sconti. Detto questo, bisogna però non cadere in una forma di moralismo astratto. Se alla politica tocca il compito della mediazione tra interessi diversi e compositi per ottenere il massimo di bene comune, non bisogna scandalizzarsi che ciascuno, nel voto, esprima degli ?interessi?. Ci mancherebbe altro, significherebbe delegare alla politica non la composizione possibile di interessi, ma la concezione della vita.


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