Cultura

20 anni dopo: Le verità negate

Prima la censura sovietica, poi quella delle agenzie Onu, "portatrici sane" degli interessi di chi punta sull'atomo. Un dossier a 20 anni dal disastro ecologico che ha tenuto in sospeso l'Europa

di Silvia Pochettino

26 aprile 1986. Esplode la centrale nucleare di Chernobyl. Oltre 50 tonnellate di materiale radioattivo vengono riversate nell?ambiente in una nube tossica che copre tutti e cinque i continenti. Immediatamente tutto viene messo sotto segreto militare. Da allora, e dopo 20 anni, la guerra di cifre intorno a Chernobyl non è ancora finita. L?unica certezza è che si sono falsificati i dati fin dai primi giorni dopo l?incidente… Un rapporto contestato «Fino a 4mila persone in totale potrebbero morire in seguito alla radio-esposizione conseguente l?incidente avvenuto venti anni fa nella centrale nucleare di Chernobyl. Tuttavia, alla fine del primo semestre del 2005, meno di 50 decessi possono essere attribuiti direttamente a questa catastrofe». Esordisce così il voluminoso rapporto di oltre 600 pagine Chernobyl?s legacy: Health, environmental and socio-economic impacts realizzato da otto agenzie delle Nazioni Unite assieme ai governi di Russia, Bielorussia e Ucraina, riuniti nel Chernobyl Forum. Un rapporto che vuol chiarire una volta per tutte gli effetti di Chernobyl a vent?anni dal disastro nucleare. Dati falsificati «Si è trattato di un incidente molto grave», dice Burton Bennett, presidente del Chernobyl Forum, durante la conferenza stampa a Vienna. «Tuttavia, in generale, non abbiamo constatato alcuna incidenza negativa sulla salute della popolazione delle zone colpite, né contaminazione di grande entità che possa ancora costituire una minaccia seria per la salute umana, a eccezione di qualche rara zona chiusa al pubblico». Il rapporto fa scalpore, soprattutto tra quanti da due decenni lavorano nelle zone contaminate a fianco delle vittime dell?incidente nucleare che, nella notte del 26 aprile 1986, sprigionò 50 tonnellate di materiale radioattivo pari a 200 volte la bomba di Hiroshima, liberando nell?atmosfera una nube tossica mai vista prima nella storia dell?umanità. Chernobyl, caso chiuso? Eppure le maggiori istituzioni internazionali sono d?accordo: Chernobyl è un problema chiuso. «Il documento del Chernobyl Forum è un ?rapporto a orologeria?», dice senza peli sulla lingua Massimo Bonfatti, responsabile dell?associazione Progetto Humus di Torino, che da anni lavora in Bielorussia, nonché autore dell?omonimo sito internet, tra i più documentati su Chernobyl nel nostro paese. «Decisamente tempestivo nel voler anticipare le celebrazioni del ventennale e blindarne l?entità; sospettosamente politico e fazioso nel voler ridimensionare i dati contestualmente al coro dei governi che vogliono rilanciare il nucleare», spiega amaro Bonfatti. «Noi non ci siamo mai occupati di politica», dichiara più cauto Fabrizio Pacifici, presidente dell?associazione Aiutiamoli a vivere di Terni che, con i suoi 250 comitati sparsi in tutta Italia, accoglie ogni estate migliaia di ?bambini di Chernobyl?. «Ma le conclusioni di questo rapporto sono inaccettabili per noi che conosciamo la situazione concreta di migliaia di famiglie bielorusse». Su Chernobyl l?unica certezza è che si sono falsificati i dati fin dai primi giorni dopo l?incidente. Mentre la popolazione dell?ex Urss ancora non sapeva niente e continuava a uscire tranquilla sotto la nube radioattiva – solo 15 giorni dopo l?incidente vi fu la prima dichiarazione pubblica nei paesi sovietici – i dirigenti del Pcus emanavano 40 protocolli ?assolutamente confidenziali? in cui mettevano sotto segreto militare tutto ciò che concerneva il disastro. Nei documenti, resi pubblici solo nel 1991 dalla deputata della repubblica dell?Ucraina Alla Yarochinskaya (si trovano tradotti dal russo in francese in Alla Yarochinskaya, Tchernobyl vérité interdite, La tour d?Aigues Artel/Edition de l?Aube, 1993), si prescriveva con precisione come comportarsi di fronte agli eventuali effetti sanitari dell?incidente: primo, dissimulare la dose di radiazioni ricevuta dalla popolazione, dai ?liquidatori? (le persone incaricate di lavorare alla centrale per ?liquidare? le conseguenze dell?incidente) e dai militari chiamati in servizio nelle zone contaminate. Secondo: non si doveva indicare in nessun referto medico la diagnosi di «malattia acuta da irraggiamento», che andava rimpiazzata con altre diagnosi, quali «distonia neurovegetativa» o «distonia cardiaca». Terzo e, forse, più agghiacciante: «non effettuare alcuna autopsia sulle persone decedute in modi connessi con l?incidente». Le censure dell?Oms Ma le falsificazioni non sono state un?esclusiva del regime sovietico. Un caso emblematico è la censura degli atti della conferenza dell?Oms, l?Organizzazione mondiale della sanità, tenutasi a Ginevra nel 1995. In quell?occasione erano stati convocati oltre 700 scienziati da tutto il mondo, ed erano stati presentati rapporti dettagliati sull?aumento dei tumori alla tiroide a seguito delle radiazioni ionizzanti, studi sui danni al sistema endocrino e immunitario dei bambini, ricerche sugli effetti genetici sulle nuove generazioni. […] L’articolo completo su VITA Magazine in edicola e online per i soli abbonati, e il dossier online “Cernobyl“.

  • VITA Non Profit Magazine 16/2006 3000 asili nido: chi li aprirà? Chi li pagherà? Chi ne usufruirà?
  • Leggi il sommario completo:VITA Non Profit Magazine, questa settimana in edicola a 1 EURO!

Speciale Social Job con VITA Magazine in edicola Il mensile per chi lavora nel non profit In questo numero:
  • Calabria, una trincea chiamata cooperazione, di Stefano Arduini Due attentati nel giro di poche settimane a una delle aziende del consorzio coluto da monsignor Bregantini. La criminalità se ne è accorta: in tutta la regione la rete delle coop crea lavoro, impresa, legalità. Quindi dà fastidio
  • L’innovazione in sei mosse: legge sull’impresa sociale sotto la lente, di Sandro Giussani Il bene comune vitene riconosciuto come “core business” di un certo tipo di impresa. Così solidarietà e impresa non sono più termini antitetici
  • Impresa sociale, da dove ripartire di Luca Zanfei Legge 118, parlano i politici: ecco i compiti per il prossimo parlamento. Sul tappeto agevolazioni, salari, rapporto con gli enti pubblici.
  • Chi fa cosa? Dibattito ancora aperto sui settori, di Giuseppe Frangi La legge stabilisce una serie di ambiti di attività per i soggetti che vorranno diventare impresa sociale. Parlano i rappresentanti della cooperazione sociale
  • Chi può diventare impresa sociale? Quali i lati oscuri della normativa? Queli i benefici per la nuova impresa? L’esperto di non profit Carlo Mazzini risponde a tre quesiti sulla nuova legge
  • E’ arrivato il momento di raccontare la Storia, di Carlo Borzaga e Alberto Ianes Dalle prime riflessioni critiche sul modello di welfare pubblico degli anni 70 alla nascita del nuovo modello della cooperazione sociale. In anteprima l’introduzione del libro di Borzaga e Ianes in uscita per Donzelli
  • Coop senza paura: il caso Calabria, di Stefano Arduini Non c’è solo monsignor Bregantini a proporre la via cooperativa allo sviluppo. Ecco chi prova a superare il binomio disoccupazione – malavita
  • Noi sì che siamo pronti a darvi credito Intervista al presidente della Federazione delle Bcc, Flavio Talarico: i cooperatori sono i clienti cui guardare con maggior fiducia
  • Arriva Welfare Calabria. Perché uniti si può osare, di Chiara Sirna Un’idea semplice ma (forse) rivoluzionaria: una rete di microcase per pazienti psichiatrici
  • Esclusione sociale, l’Europa mette in rete le ideedi Carlotta Jesi A Varsavia dal 10 al 12 maggio una vetrina per le migliori iniziative adottate dai paesi membri della Ue contro emarginazione, disoccupazione, discriminazione … E molto altro ancora: visita le pagine dedicate a Social Job! Leggi il sommario di VITA Magazine da oggi in edicola!


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA