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Chi fa cosa? Dibattito ancora aperto sui settori

La legge stabilisce una serie di ambiti di attività per i soggetti che vorranno diventare impresa sociale. Per qualcuno è una gabbia troppo stretta. Per altri una indispensabile delimitazione.

di Giuseppe Frangi

Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori…». Recita così l?articolo 2 del decreto legislativo che attua la legge 118 sull?impresa sociale. È stata una questione molto dibattuta, che ha fatto discutere non solo la politica ma anche i diretti interessati. Le diverse posizioni sono emerse nel seminario che il Cergas Bocconi ha organizzato il 10 aprile a Milano, alla presenza di tutti i soggetti rappresentativi della cooperazione sociale. A lanciare il sasso è stato Alessandro Giussani, presidente di Federsolidarietà Lombardia. Secondo lui questo è un limite della legge: «Non condivido il tentativo prevalente di qualificare l?impresa sociale per l?oggetto della sua azione (l?elenco degli ambiti di intervento ?sociali?) piuttosto che per le sue soggettive caratteristiche. La sostanza vera della impresa sociale risiede nella capacità, dimostrabile, di realizzare finalità di interesse generale. Questa capacità non è pienamente realizzabile né riscontrabile in ciò che si fa, ma in come lo si fa. I ?processi produttivi? saranno più importanti dei prodotti, in una fase mondiale in cui non a caso è proprio l?innovazione nei processi ad essere più veloce ed intensa di quella dei prodotti in un mercato globalizzato». Dibattito aperto In disaccordo invece Costanza Fanelli, presidente di Legacoop sociali, la neonata formazione che raccoglie le cooperative sociali aderenti alla Lega delle cooperative. Secondo la Fanelli l?aver esplicitato i settori è una scelta positiva per due motivi: «Primo, perché attribuisce maggiore coerenza all?impianto della legge. In secondo luogo conferisce una maggiore distintività all?impresa sociale. È un fattore importante che aiuta la nuova forma d?impresa a rendersi riconoscibile verso la platea degli utenti. Se non venissero indicati i settori, potrebbe crearsi un orizzonte confuso nella percezione esterna dell?impresa sociale». Livia Consolo, amministratore di Aster-x e già presidente di Cgm, non condivide l?analisi di Costanza Fanelli: «Francamente li avrei aboliti. Son d?accordo con Giussani che la determinazione di cosa sia o non sia impresa sociale è data dai criteri soggettivi. Però posso capire che questa sia stata una scelta di mediazione, che aiuta a farsi riconoscere dall?esterno. Che migliora la percezione dell?impresa sociale». Secondo la Fanelli, invece, la delimitazione dei settori facilita la crescita in qualità delle future imprese sociali, perché non si resti prigionieri della logica dei minori costi. Trasversalità Per Antonio Mandelli, presidente della Federazione imprese sociali della Cdo, la questione ha importanza relativa: «Basta leggere l?elenco dei settori per capire che sono individuati a maglie abbastanza larghe. La figura dell?impresa sociale, con la sua trasversalità rispetto alle diverse forme giuridiche societarie di cui si può vestire, allarga notevolmente il campo delle possibilità operative per la produzione di beni sociali». Cosa dice la legge I settori di attività delle imprese sociali: a. assistenza sociale b. assistenza sanitaria c. assistenza socio-sanitaria d. educazione, istruzione e formazione e. tutela dell?ambiente e dell?ecosistema f. valorizzazione del patrimonio culturale g. turismo sociale h. formazione universitaria e post universitaria i. ricerca ed erogazione di servizi culturali l. formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica m. servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un?impresa sociale Che cosa manca nella legge Ecco alcuni punti che, secondo gli esperti, dovrebbero essere inseriti in una futura revisione della legge sull?impresa sociale. 1. Armonizzazione sul piano dei diversi aspetti fiscali in relazione ad altri sistemi (onlus, enti non commerciali, cooperazione sociale) 2. Armonizzazione rispetto alle legislazioni specifiche dei diversi soggetti che possono acquisire la qualifica: sono affrontati esplicitamente solo il problema delle cooperative sociali e degli enti ecclesiastici 3. Incentivazioni: rispetto alla non lucratività; rispetto alla organizzazione(modello cooperativo su utili accantonati); rispetto alla diversa utilità sociale prodotta nei diversi ambiti 4. Accordi bancari per un ?rating? adeguato alla patrimonializzazione economica e sociale e per la immaterialità dei beni prodotti 5. Rivisitazione della non distribuzione degli utili nei confronti delle azioni e delle quote (stabilire dei limiti anche per loro) 6. Sviluppare un adeguato regime premiale legato alle caratteristiche e alla meritevolezza delle imprese sociali, attraverso incentivi e adeguate misure fiscali 7. Sostegno a ?fare sistema?: il sistema sostiene innovazione e identità 8. Favorire i processi di trasformazione (culturale, gestionale, organizzativa, …) delle organizzazioni che vogliono assumere l?identità di impresa sociale ai sensi del decreto, creando i supporti necessari a questa trasformazione.


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