Sostenibilità

Benvenuta la frutta a chilometro zero

Proposta: mette sulle etichette le “food miles”, ovvero i chilometri percorsi dalle derrate alimentari per arrivare dai campi alle tavole dei consumatori

di Chiara Cantoni

«Com?è rossa la ciliegia, come mai?», cantava Mango anni fa. Ottima domanda, specie in inverno: frutto fuori stagione fa rima con frutto d?importazione. In questo caso, dall?Argentina: 12mila km di viaggio aereo, che tradotto in impatto ambientale equivale a consumo energetico, emissioni di gas e caro prezzi.

Secondo il Millennium Ecosystem Assessment, il rapporto di valutazione dell?ecosistema voluto da Kofi Annan ed elaborato da 1.360 esperti Fao e WWF, la maggiore causa d?inquinamento e impoverimento della biodiversità è il trasferimento dei cibi da un capo all?altro del mondo. Un danno ecologico quantificato in food miles, espressione coniata dal professor Tim Lang della London University, per indicare le percorrenze delle derrate alimentari dai campi alle tavole. Per quanto riguarda i cibi freschi, meglio non superare i 20 chilometri (12 miglia). La lotta ai cambiamenti climatici si avvale dunque di una nuova linea guida: ridurre le food miles. Più che un invito, la maggiore organizzazione britannica di agricoltura biologica ne ha fatto una missione: niente marchi ?bio? certificati Soil Association ai prodotti importati per via aerea. «Una provocazione forte, ma appropriata», commenta Paola Trionfi, responsabile Ristorazione collettiva Aiab. «Importare cibi da lontano a scapito delle produzioni locali non fa parte della nostra tradizione. Il biologico non è un?etichetta, ma un movimento culturale che promuove il concetto di filiera corta, vincente dal punto di vista ambientale, economico e alimentare».

Un prezzo d?acquisto alto, dunque, è sinonimo di rarità, qualità, o di tragitti lunghi e pedaggi numerosi. «Nel 2006, l?Italia ha importato 3,4 miliardi di chilogrammi di frutta e verdura», dice Stefano Masini, responsabile Ambiente Coldiretti. «Abbiamo calcolato che, rinunciando a pesche, ciliegie e uva provenienti per via aerea da Sud Africa e Sud America, l?Italia risparmierebbe fino a 50mila tonnellate di petrolio, equivalenti a 125mila tonnellate di CO2». E gli effetti sulle economie del terzo mondo? Che ne sarebbe dei prodotti equosolidali? «Frutta e verdura fresche ?a km zero? non compromettono il mercato equo e solidale», assicura Masini, «che si basa soprattutto su altro. Ci auguriamo comunque l?introduzione volontaria di etichettature integrative: conoscere provenienza e food miles è il primo passo verso un acquisto intelligente».


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