Volontariato

Allarme profughi a Bagdad: 4 milioni in fuga

E' la nuova emergenza che sconvolge il Medioriente: 700mila sono rifugiati in Siria, altrettanti in Giordania.

di Emanuela Citterio

L?onda lunga della guerra ha sradicato quattro milioni di persone. È il più grande spostamento di popolazione degli ultimi sessant?anni in Medioriente, va avanti silenzioso con un?emorragia di 50mila persone al mese e nessuno ne parla, anche se il Paese è l?Iraq. Sono due milioni gli iracheni fuggiti nei Paesi vicini, 700mila in Siria, altrettanti in Giordania, 80mila in Egitto, 40mila in Libano e il resto in Iran. Ma c?è chi ha abbandonato casa, villaggio, scuola, comunità anche restando nel proprio Paese: si tratta di un milione e 700mila persone, sfollati interni che si spostano di volta in volta in base alle azioni militari sul terreno, alla guerriglia, alle faide fra fazioni. Fino a pochi mesi fa, proprio il dramma dei profughi iracheni è stato il pomo della discordia fa tra Usa e Onu, che non riuscivano a decidere su chi e come gestire il problema. Ellen Sauerbrey, assistente segretario di Stato per i rifugiati, sosteneva che l?Unhcr (l?agenzia Onu per i rifugiati) «avrebbe dovuto lavorare meglio». Dal canto suo l?Onu denunciava che per farlo aveva bisogno di più fondi dalla comunità internazionale. «Ci troviamo di fronte a una crisi epocale, è il più grande esodo dalla creazione dello Stato di Israele nel 48, con una situazione di violenza generalizzata all?interno del Paese», afferma Laura Boldrini, portavoce Unhcr in Italia. «Siria e Giordania sono i Paesi vicini più sotto pressione. Secondo i dati raccolti dai nostri uffici a Damasco, in Siria il 30% dei bambini iracheni non va a scuola». Oltre ai due milioni di profughi usciti dai confini nazionali ma ancora nella regione, ci sono gli iracheni che sono riusciti a spostarsi in Europa e negli Usa. Nella prima metà del 2006, fra le prime 40 nazionalità di richiedenti asilo nei Paesi ricchi, quella irachena si è attestata al primo posto, con un aumento del 50% di richieste rispetto al 2005. A gennaio l?Unhcr ha lanciato un appello per 60 milioni di dollari necessari a finanziare le sue attività in favore degli iracheni sfollati all?interno del proprio Paese e rifugiati nei Paesi vicini. «In questa situazione c?è un ulteriore anello debole: i non iracheni che si trovano in Iraq, come i palestinesi», spiega la Boldrini. «Durante il regime di Saddam erano 23mila, ora sono 15mila e vivono in una situazione drammatica, sono cacciati dalle loro abitazioni, licenziati dai posti di lavoro. Ma le frontiere della Giordania per loro sono chiuse. Nella ?no man?s land?, la terra di nessuno fra il confine iracheno e quello giordano, sono bloccate 750 famiglie palestinesi. Di recente Canada e Siria hanno risposto accogliendone alcune centinaia». Il 15 febbraio gli Stati Uniti hanno annunciato un contributo di 18 milioni di dollari all?Unhcr, e la disponibilità ad accogliere 7mila profughi iracheni in più quest?anno. Hanno risposto all?appello anche Australia, Danimarca e Svezia. E ad aprile si terrà a Ginevra una conferenza dei donatori durante la quale l?agenzia dell?Onu per i rifugiati farà il punto della situazione e delle risorse disponibili. Ma quali sono le priorità? Il principale obiettivo dell?Unhcr è dare assistenza a 200mila profughi più vulnerabili, molti dei quali si trova in aree urbane come Amman e Damasco. «In entrambe le città diamo supporto alle autorità locali per la registrazione dei profughi, lavoriamo per la loro protezione sia direttamente che con le organizzazioni non governative» spiega la Boldrini. «All?interno dell?Iraq monitoriamo i diritti delle persone segnalando le violazioni alle autorità competenti e forniamo assistenza giuridica». Per quanto riguarda le ong, nessuna di quelle italiane è presente con personale espatriato in Iraq. «Dopo i rapimenti, operiamo con personale locale», spiega Lucio Melandri di Intersos. «Dal 2003 ci occupiamo prevalentemente degli sfollati interni nel centro e sud dell?Iraq, coordiniamo gli interventi dagli uffici in Giordania e Kuwait e abbiamo fatto richiesta al governo siriano di operare anche a Damasco. È dall?inizio dell?inverno scorso che il fenomeno degli spostamenti ha assunto proporzioni così significative. Il motivo è la situazione di insicurezza sempre maggiore che la popolazione vive all?interno del Paese: oggi gli iracheni non possono andare all?ospedale, i tragitti sono impraticabili e pericolosi sia per gli ammalati che per il personale medico-sanitario. La gente si sposta per trovare risposta ai bisogni fondamentali: chi poteva se n?è andato nel 2003, ora a fuggire sono i più poveri e disperati».


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