Famiglia

Cercasi asilo: i nidi? Oggi per un bambino su 10

Al Sud la situazione è drammatica, ma nemmeno in Emilia Romagna vengono rispettati i parametri europei. Ecco in esclusiva i dati del Centro nazionale di documentazione per l’infanzia...

di Benedetta Verrini

Sui 16mila bambini con meno di tre anni residenti in Basilicata, solo 838 vanno all?asilo. Sono i fortunati che hanno trovato posto in uno dei 27 nidi, tutti pubblici, esistenti nella regione. Anche in Calabria e in Puglia i piccoli inseriti nei nidi sono poco più di mille, se non fosse che qui il bacino d?utenza è mostruosamente superiore: 60mila i bambini calabresi, 127mila i pugliesi. Sono i dati dell?indagine nazionale sugli asili nido, pubblicata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l?infanzia e l?adolescenza.
Questa straordinaria fotografia del settore disegna due Italie. Il confine corre appena sotto il Lazio e le Marche, e delimita le regioni che riescono ad assorbire nei nidi più del 5% dei piccoli utenti da quelle che no, non ce la fanno e si fermano all?1, al 2% del totale. La prima della classe è l?Emilia Romagna, che però non raggiunge nemmeno il 24%, seguita dal Veneto, al 19,9%.

Liste d?attesa
Consola poco, di fronte a questa Italia – tanto per cambiare – spaccata a metà, il fatto che negli ultimi cinque anni il numero dei nidi sia cresciuto, rispetto al 2000, di oltre il 60%, passando da poco più di 3mila a 4.885 unità su tutto il territorio nazionale. Consola poco perché, di fronte a un?utenza potenziale praticamente immutata (i bambini con meno di 3 anni erano circa un milione 600mila nel 2000, oggi sono un milione 645mila), questa rinnovata offerta non ha ribaltato la situazione: la capacità ricettiva dei nidi, pubblici e privati, sfiora appena il 10% del bisogno, accogliendo in tutta la penisola appena 163mila bambini.

Risultato: siamo ben lontani, di qui al 2010, dal raggiungere quell?obiettivo minimo fissato a Lisbona del 33% di ricettività. «Nel quadro italiano esistono due elementi di particolare criticità», spiega Aldo Fortunati, dirigente dell?Istituto degli Innocenti che ha diretto l?indagine. «La prima riguarda proprio le disparità territoriali, che non sono affatto diminuite dal 2000 a oggi, e che continuano a discriminare le opportunità di accesso al nido da parte di bambini residenti in diverse aree territoriali. Il rapporto continua a essere di 1 a 10 fra bambini residenti in regioni ?fortunate? (come Veneto, Emilia e Toscana) e altri, residenti nel Sud e nelle Isole».

C?è poi il problema delle liste d?attesa, «stabili rispetto al 2000», prosegue Fortunati, «che evidenziano la persistente insufficienza del sistema dell?offerta. Da notare che le liste d?attesa sono più lunghe proprio nelle zone in cui ci sono più nidi». Un dato che dimostra, da un lato, l?enorme fabbisogno emergente là dove l?occupazione femminile è più elevata; dall?altro che l?appetito vien mangiando: là dove non c?è alcun tipo di offerta, la domanda è talmente mortificata che non si manifesta nemmeno.

Raggiungere l?obiettivo di Lisbona, peraltro, non significherebbe arrivare a una condizione ?aurea?, ma semplicemente accettabile, perché «l?equilibrio tra domanda e offerta», avverte Fortunati, «si raggiunge al 50-70% della copertura».

In alcune zone d?Italia accade già. E non è solo questione di quantità, ma soprattutto di qualità: ci sono esperienze studiate in tutto il mondo, come i nidi di Reggio Emilia, giudicati tra i migliori modelli di servizi per l?infanzia. Dove la tipologia vincente è quella che tiene conto di una buona organizzazione degli spazi, alta formazione del personale, dialogo e interscambio con le famiglie e una verifica permanente del servizio. E non importa quale sia la forma giuridica con cui questo modello viene realizzato: «è giusto che nel mercato ci siano più soggetti: pubblici e privati, profit e non profit», commenta. «Il futuro è di chi s?impegna a fare servizi di qualità. L?importante è che tutti questi soggetti si trovino all?interno di un sistema con regole precise, controllate dal pubblico, che è chiamato a farle rispettare e a contribuire alla copertura dei costi, se è vero che i nidi rappresentano un servizio d?interesse pubblico».

Boom privato
Il numero di nidi privati, negli ultimi cinque anni, è cresciuto in maniera esponenziale: sui 4.885 esistenti sono 1.850, pari al 38,9%, quelli gestiti dal privato (non profit e profit).

E se proprio il privato sociale ultimamente è stato il principale attore dell?estensione della rete dei servizi per l?infanzia, anche i soggetti privati ?for profit? hanno fatto capolino nel sistema. «Ma hanno comunque cercato forme di convenzionamento con il pubblico», spiega Fortunati. «Perché devono andare in pari con i costi: un posto nido costa circa 8mila euro all?anno per ciascun bambino. È evidente che, senza una qualche copertura del pubblico, il costo della retta sarebbe impossibile per gran parte delle famiglie». Per questo, nell?ottica di favorire un accesso più generalizzato ai servizi, è ben «difficile che il privato possa, da solo, essere la chiave per risolvere la situazione italiana».

Intanto i numeri dicono che i finanziamenti finora attribuiti dallo Stato agli enti locali per questo obiettivo hanno coperto circa il 20% del fabbisogno. Nel triennio 2002-2004 sono stati ripartiti 300 milioni di euro per la costruzione e la gestione degli asili nido nonché di micro-nidi nei luoghi di lavoro.
«Un?esperienza senz?altro interessante», ha detto Fortunati, «ma non strategica per lo sviluppo delle politiche per l?infanzia. Inutile pensare che bastino alcuni finanziamenti per stimolare lo sviluppo di singole iniziative. Ci vuole un piano d?investimento di medio-lungo termine, nell?arco dei prossimi 10 anni. Solo così si giungerà all?equilibrio».

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