Welfare

Ebbene sì, ci riprendiamo i figli delle cosche

Parla Vincenzo Linarello: «Ci deve essere un’alternativa possibile per tutti, nessuno escluso. La cooperazione sociale l’ha capito. Per questo qui in Locride fa tanta paura»

di Redazione

«A chi appartieni?». In Calabria con questa domanda si fa conoscenza. Una consuetudine che svela un meccanismo sociale basato unicamente sul principio di appartenenza. Appartenenza a un notabile, a una cosca o a un politico. Solo in questo modo si può godere di riconoscibilità sociale e ottenere il rispetto, come si dice qui da noi. Poi ci sono i ?senza appartenenza?. I diseredati, i montanari, i contadini. Ovvero il bacino sociale da cui la mafia attinge a piene mani per ingrossare le sue schiere di manovali. Chi finisce nella rete della ?ndrangheta inevitabilmente però viene toccato dalla giustizia. E il cerchio si chiude. Per gli ex detenuti non c?è scelta. Le vie della legalità sono tragicamente tappate. L?interdizione dai pubblici uffici e l?impossibilità di ottenere il certificato antimafia rappresentano scogli invalicabili, sia per agguantare un impiego statale, sia per avviare un?attività imprenditoriale in proprio. Non rimane che la cosca. Rompere il cortocircuito Noi invece abbiamo scelto di metterci in concorrenza con la mafia. Siamo scesi sul loro piano. Non ho timore a dirlo. In che modo? Spalan-cando le porte proprio a chi non aveva altra possibilità davanti a sé. Attraverso la cooperazione, quella sociale in particolare, la cooperativa Valle del Bona-mico, vittima nell?ultimo periodi di due avvertimenti mafiosi, il consorzio Goel e il progetto Policoro in 12 anni hanno creato mille posti di lavoro nella sola Locride. A dire il vero avevamo anche messo in conto che qualcuno di loro potesse ricadere nel circuito criminale. Saremmo andati avanti ugualmente. Con nostra grande sorpresa però non è stato così. Nessuno di quei ragazzi è mai tornato indietro. Al contrario. Questa esperienza si sta espandendo al di fuori dei confini della Locride. Vivere di mafia ti dà soldi e rispetto. Ma è anche una vita infame che si intreccia a filo doppio con il carcere. Fra la manovalanza mafiosa non c?è un padre che augurerebbe al figlio una vita del genere. Però ci deve essere un?alternativa possibile. Solo quattro o cinque anni fa nessuno di noi poteva affermare con certezza che la cooperazione sociale potesse davvero costituire una chanche per questa terra. Oggi ne siamo convinti. Non era scontato. Col tempo ci siamo dovuti confrontare anche con chi detiene il potere. Che in Calabria significa al 90% ?ndrangheta e massoneria deviata. Un potere che si nutre della sistematica manutenzione della precarietà. La ?ndrangheta rurale è un retaggio di 30 anni fa. E l?omicidio Fortugno è il segnale di un salto di qualità. L?architrave di questo processo si appoggia sui cosiddetti ?santisti?. Affiliati alle cosche, legati alle massonerie deviate attraverso un secondo giuramento che li pone al di sopra perfino delle regole di fedeltà mafiosa. Questi personaggi girano in giacca e cravatta, mandano i figli a studiare all?estero e creano lavoro legale con gli investimenti del traffico di droga e di armi. Gli appalti non gli bastano più, l?obiettivo è l?ingresso nello Stato. Potevamo vivere tranquilli Ma perché noi gli facciamo tanta paura? Non credo che la risposta giusta risieda nel fatto che noi creiamo posti di lavoro legale. Al contrario, se ci limitassimo a questo la criminalità avrebbe gioco facile nel sostenere che la mafia non esiste. Lo scopo ultimo è invece proporre e praticare un progetto di cambiamento che tutti possono riconoscere e toccare con mano. Avremmo potuto vivere in tranquillità e invece ci siamo messi in mezzo. è il nostro modo di fare cooperazione sociale. Per questo adesso siamo diventati un vero e proprio bersaglio. Di Vincenzo Linariello www.progettopolicoro.it www.comunita.org www.consorziosociale.coop


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA