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In crisi il Conducator da 23 anni al potere

Guinea Conakry: un paese sull'orlo della guerra civile. Il presidente resiste solo grazie all'esercito. Ma fino a quando? Anche il Papa è intervenuto. E c’è un perché...

di Emanuela Citterio

È uno degli ultimi dinosauri: governa da 23 anni un Paese africano ricco di bauxite e di petrolio, che però occupa uno degli ultimi posti – 150 su 162 – nell?indice di sviluppo umano Onu. Lansana Conté, 73 anni, guida dal 1984 la Guinea Conakry, oggi sull?orlo della guerra civile. Il bilancio al 20 febbraio, dopo oltre una settimana di scontri, è di 120 morti fra i manifestanti, soprattutto giovani. È stata imposta la legge marziale, gli stranieri sono stati evacuati, è entrato in vigore il coprifuoco.

Al centro dell?instabilità del Paese c?è lui, il presidente che non vuole mollare il potere e che, dopo aver licenziato nel marzo 2006 il premier Celou Dalein Diallo, guida pure il governo. La protesta è partita dai sindacati, con in testa la Cntg – Confederazione nazionale dei lavoratori e il Consiglio nazionale della società civile guineana, che hanno promosso una serie di scioperi generali. L?ultimo lo scorso gennaio, durato 18 giorni, ha coinvolto migliaia di lavoratori contro l?aumento dei prezzi e un sistema di corruzione di cui Conté è ritenuto responsabile. Nel 2005 in Guinea l?inflazione ha raggiunto il livello record del 250% e i salari non bastano più ad acquistare i beni di prima necessità. L?insurrezione popolare è scoppiata il 10 febbraio, quanto la tv di Stato guineana ha dato notizia della nomina a primo ministro di Eugène Camara, un fedelissimo del presidente. L?esatto contrario di quanto chiedevano i dimostranti. «Conté continua a resistere grazie a un forte controllo dell?esercito», dice un esperto della cooperazione in Guinea che preferisce restare anonimo, «un controllo che ha accresciuto concedendo ai soldati stipendi molto più elevati rispetto agli standard nazionali. Intere aree demaniali sono coltivate dall?esercito a riso, che viene poi esportato e i cui proventi rimangono nelle mani del presidente». Fra il presidente, rimasto solo con il suo esercito, e l?opposizione, cresciuta come un?onda in piena nell?ultimo anno e mezzo, c?è un elastico sul punto di spezzarsi. Tanto che il 14 febbraio è intervenuto anche il Papa a ricordare la crisi, che rischia annullare anche gli effetti positivi della riconversione del debito in progetti di sviluppo, portata avanti dalla Fondazione giustizia e solidarietà della Cei dopo la campagna del Giubileo.


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