Sostenibilità

I nostri laboratori a cielo aperto

Siccità, mutamenti nella vegetazione, crescita di nuove specie. Le aree protette servono anche a tenere sotto controllo fenomeni e indicatori

di Redazione

di Antonio Canu * Qualche anno fa, il bosco di Palo laziale, Oasi WWF, dava segni di sofferenza. Che in breve portarono alla morte di un bel gruppo di alberi, cerri in particolare. Si presentavano spogli o con le foglie secche, prova evidente di un certo malessere e facile preda di funghi parassiti, devastanti. Il fatto portò anche ad una polemica con la proprietà dell?area che in qualche modo accusava il WWF di non aver ?governato? il bosco, ma di averlo lasciato allo ?stato selvaggio?. Ovviamente, la proprietà aveva le sue ragioni, quelle di difendere il proprio patrimonio. Il WWF ne aveva ben altre. Aver lasciato il bosco alla naturale evoluzione era ed è parte del nostro modello di gestione. Interveniamo quando ci sono esigenze oggettive per farlo. O quando è previsto in un piano di restauro o di riqualificazione di aree degradate. L?idea che c?eravamo fatti sul caso di Palo era quella che vari fattori ambientali avevano contribuito a minare la salute del bosco. Tra questi, la prolungata siccità e l?ingresso di acqua marina nella falda. Supposizioni e qualche previsione: la cerreta di Palo, già di per sé un fatto straordinario, avrebbe lasciato il posto ad una vegetazione più adatta e resistente, cioè la macchia mediterranea. Di boschi malati come Palo ne scoprimmo subito uno dopo l?altro, lungo la costa laziale ma anche all?interno. Qualcosa, insomma, che andava oltre un fenomeno localizzato. I lunghi periodi di siccità hanno creato sempre problemi ai già vulnerabili ambienti lacustri. Crisi anche serie le abbiamo affrontate nel lago di Burano, in Toscana, e alle Cesine, in Puglia. Con conseguenze naturali, ma d?impatto, a cominciare dalla morte dei pesci per asfissia. In quei casi abbiamo fatto ricorso a soluzioni d?emergenza, quali l?immissione di acqua o di ossigeno liquido. È evidente, però, che se vogliamo salvare queste aree da un inesorabile declino, occorre fare azioni più complesse e soprattutto a livello di bacino. La tendenza all?aridità nei tempi brevi e in attesa di quelli peggiori – quando per esempio le zone costiere dovrebbero andare sommerse dal mare – sollecita piani di intervento su larga scala e su più fronti, al di fuori dell?area protetta. In quanto alla fauna, è presto per dare qualche dato significativo. Certo l?arrivo, sempre più significativo, di specie di invertebrati come le farfalle dai Paesi caldi è un dato. Così come l?ingresso di specie tropicali nel nostro mare o l?aumento di popolazioni di specie esotiche. Lo stesso vale per la flora: anche se la macchia fiorita nello scorso gennaio è certo uno spettacolo, imprevisto, inaspettato, indicativo. Siti di monitoraggio Occorre saperne di più, non c?è dubbio. E lo si può ottenere se si raccolgono dati, si fanno confronti, si tengono sotto controllo alcuni fenomeni. Ecco, è quello che le Oasi WWF diventeranno, al più presto. Siti di monitoraggio per misurare alcuni indicatori e metterli a disposizione di banche dati e programmi di ricerca. Anche perché qualsiasi mutamento negli ambienti naturali comporterà anche il necessario adattamento nella gestione. * responsabile progetto speciale Oasi WWF


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