Cultura

Mettiamo in sicurezza l’Italia

Riccardo Valentini ha monitorato le aree più delicate della Penisola per capire dove e in che modo i cambiamenti climatici stanno impattando sugli ecosistemi

di Redazione

«Dobbiamo prepararci a vivere in un clima che è cambiato. E per farlo dobbiamo fare ciò che non è mai stato fatto nel nostro Paese: la pianificazione territoriale. Il nostro è sempre stato un Paese a rischio alluvioni, frane, erosione: oggi è ancora più urgente mettere in sicurezza il territorio perché uno degli effetti dei cambiamenti climatici è la massimizzazione di questi fenomeni estremi». Riccardo Valentini ha monitorato le aree più delicate della Penisola per capire dove e in che modo i cambiamenti climatici stanno impattando sugli ecosistemi. Il suo è un appello soprattutto alla politica, che deve passare dall?annuncio eclatante ma di breve durata alla programmazione capillare. Perché ridurre le emissioni gas serra è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Ecomondo: Quali sono in Italia gli ambienti minacciati dai cambiamenti climatici? Riccardo Valentini: Gli ecosistemi alpini, sotto pressione con fenomeni di ritiro dei ghiacciai, diminuzione delle precipitazioni nevose e una serie di alterazioni dell?ecosistema, sono quelli sottoposti allo stress maggiore assieme alle zone umide. Queste ultime sono infatti estremamente sensibili anche a piccole variazioni geopluviometriche. L?Italia ne è molto ricca: rappresentano un punto di passaggio per le migrazioni, vere e proprie stazioni di servizio per gli uccelli migratori nel loro passaggio dall?Africa e l?Asia alle zone boreali. Ecomondo: Cosa dobbiamo fare? Valentini: Dobbiamo impegnarci per ridurre le emissioni e contenere così il cambiamento entro certi limiti, ma in parallelo dobbiamo prendere le necessarie contromisure. Il cambiamento del sistema climatico è qualcosa di inevitabile, almeno in una certa misura. Avremo sempre più queste tempeste tropicali, anche in inverno, come è accaduto di recente in Germania. Dobbiamo cominciare a mettere in sicurezza il territorio: impedire la costruzione in aree a rischio idrogeologico, intervenire attraverso tecniche di ingegneria naturalistica, insomma rimettere le piante dove le abbiamo tolte. Propongo di mettere in piedi una task force di scienziati, che ci indichino gli scenari più probabili per il futuro e di politici in grado di capire scenari di lungo termine. È necessario cambiare questa politica degli annunci da talk show, abituata a fare leggi per accontentare la singola lobby o l?azione eclatante ma momentanea. Ecomondo: In concreto? Valentini: Dobbiamo cominciare a pensare alla razionalizzazione dell?acqua, perché l?uso che ne facciamo è dissennato. Ci sono molti usi diversi che confliggono: l?agricoltura, gli usi civili e industriali: va fatta una programmazione accurata, perché non sempre l?agricoltura ha bisogno di tutta quell?acqua, e sono possibili risparmi anche in ambito domestico, per non parlare dei sistemi di distribuzione dell?acqua che perdono… E poi dobbiamo proteggere le aree umide, habitat per la nostra fauna e flora. Faccio un esempio: in Basilicata, intorno al bosco di Policoro, in parte Oasi WWF, è in corso uno sviluppo edilizio che sta sfruttando la falda in modo eccessivo. L?abbassamento delle falde causato dalle minori precipitazioni e dallo sfruttamento intensivo sta causando anche la scomparsa della farnia, una quercia importante, una specie forestale di grande interesse naturalistico che ha bisogno di acqua in superficie. In Italia si trova il limite più meridionale di diffusione di questa specie, nel Parco del Circeo e nella tenuta presidenziale di Castelporziano. Con la farnia scompare l?habitat per altre specie e per l?intero ecosistema. Sono piccoli segnali, ma evidenti per noi scienziati: significano morte irreversibile. Ecomondo: E sulle Alpi invece cosa succede? Valentini: L?incremento della temperatura ha determinato sconvolgimenti nella composizione specifica degli ecosistemi. Stiamo notando un innalzamento del faggio a quote più alte, tipicamente regno delle conifere, e alcune specie microterme come il pino cembro, importantissimo anche per la storia di questi ambienti alpini – la grappa, i manufatti lignei – oggi si trova in crisi.

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