Volontariato

Chi studia le periferia, si lasci spiazzare da chi ci vive

E'un romanzo di uno scrittore francese nato in Martinica il testo chiave per capire come cambiare approccio...Di Paola Meardi

di Redazione

Lavorando nelle periferie mi viene spesso in mente una frase dell?urbanista di Texaco, nell?omonimo romanzo di Patrick Chamoiseau, il quale, entrando nella favela per farla abbattere, scopre la storia di quella città ?altra? dalle parole della vecchia Marie-Sophie. Ho pensato spesso alla reazione di quell?urbanista del romanzo: «D?improvviso ebbi la sensazione che Texaco provenisse da più lontano di noi, e che dovessi imparare tutto. Anzi: reimparare tutto».

Ecco, accade sempre così all?operatore di fronte agli innumerevoli avvenimenti che confondono il punto di vista e che mettono davanti a prospettive nuove o sembrano vanificare il lavoro svolto.

Texaco è un romanzo, ma poco importa quanto ci sia di storia vera e di storia inventata: per me e per i miei colleghi non c?è dubbio, se dobbiamo scegliere cinque libri sulle periferie il primo è Texaco. Perché la chiave di lettura delle periferie, anche le nostre occidentali che ci sembrano così lontane dalle baraccopoli, è quella della voce e della vita di chi ci sta dentro. Da qui deriva la necessità di un dialogo tra gli abitanti e coloro che ci lavorano, e tra gli operatori stessi. Non si può intervenire nelle periferie con un unico punto di vista, né con una sola competenza: urbanisti e amministratori devono lavorare a fianco di operatori sociali, insegnanti, preti, sindacati, associazioni, giuristi, commercianti…

?Periferia? è diventata, ormai, una parola dai diversi significati. All?accezione fisica di «zona ai margini del territorio urbano» si affiancano e talvolta si sostituiscono significati non geografici. Significati economici, che riconoscono periferia le sacche di povertà presenti a volte anche nelle aree centrali; socio-politici, che le definiscono realtà ?ai margini? in quanto degradate nel loro tessuto sociale (caratterizzato da devianza minorile, aumento della popolazione anziana senza adeguati servizi, abbandono scolastico, disoccupazione), ma anche governate al di fuori delle regole ufficiali. Regole che, paradossalmente, non sanno riconoscere le potenzialità che pure si trovano all?interno di questo stesso tessuto.

Coinvolti dalle storie che solo gli abitanti svelano, non bisogna però dimenticare le voci dei professionisti. Antropologi e sociologi ci vengono in aiuto: un approfondimento teorico sullo stato dell?arte aiuta i non addetti ai lavori a inquadrare il problema e a non confondere termini e dati in un ambito in cui la strumentalizzazione è facile. Andare oltre lo stereotipato binomio ?periferie e sicurezza? diffuso dai giornali porta a capire quali sono i mutamenti che ci fanno percepire insicuri, per individuare strategie di intervento. Allo stesso modo, la conoscenza della legislazione urbanistica – ad esempio le novità in merito alla pianificazione complessa che riconosce il valore dell?accompagnamento sociale complementare alla ristrutturazione fisica – è necessaria sia per gli architetti sia per gli operatori sociali, che sempre più si trovano a lavorare insieme.

Ci auguriamo che si possano trovare presto a lavorare anche con gli amministratori e i legislatori, per portare all?interno delle ?regole? quegli elementi vitali che le renderebbero più efficaci perché nate dall?esperienza: da progetti innovativi come i Contratti di quartiere fino a episodi che vedono porzioni di città decisamente ?autogestite? dagli abitanti.

Senza riproporre l?urbanista di Texaco – bloccato in una baracca finché comprende che ciò che la gente sta facendo da oltre un secolo è molto più appropriato alle loro esigenze piuttosto che i regolamenti e i piani che lui stesso, inviato dal ?centro?, rappresenta – anche le nostre periferie trarrebbero beneficio da nuovi saperi.

I libri proposti – un romanzo, due saggi di sociologia e pianificazione corredati di esempi e due narrazioni di esperienze – permettono di avviare un approfondimento di questi temi. è uno schema circolare, dove le competenze si contaminano reciprocamente e sempre ne mancano di nuove: le scienze dell?educazione e della comunicazione, la psicologia di comunità, la storia, l?economia, ma anche la poesia, la giurisprudenza e, perché no, la cucina, il teatro, le arti?

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