Cultura

Jacobucci e le ragioni dell’intolleranza

Un confronto alla fiera del libro di Cairo: la presentazione del libro di Michelangelo Jacobucci I nemici del dialogo, di Cristina Zoja

di Redazione

Fra gli appuntamenti proposti dall?Italia, Paese ospite d?onore alla recente Fiera internazionale del libro del Cairo, la presentazione del libro di Michelangelo Jacobucci I nemici del dialogo. Ragioni e perversioni dell?intolleranza, è stato uno dei più seguiti. A un pubblico italo-egiziano, l?ex ambasciatore d?Italia in numerosi Paesi del mondo ha posto interrogativi diretti, con stile asciutto e pragmatico . «Come si può uccidere in nome di Dio? Perché l?altro ci fa paura e viene percepito come un nemico? Ci sono popoli che possono essere considerati inferiori agli altri? Analizzando le diverse facce del fenomeno intolleranza», ha detto il diplomatico, «mi sono accorto che c?è un filo conduttore, cioè la certezza assoluta della propria verità». Ma l?intervento di Jacobucci non si è limitato all?intolleranza religiosa, cioè «la certezza assoluta che viene da Dio», argomento che si sarebbe prestato a polemiche e rivendicazioni soprattutto in presenza di Mohammed Salmawi, presidente dell?Unione scrittori egiziani, almeno a parole vicino a posizioni conservatrici. Vi sono, secondo Jacobucci, «quella che viene dai padri, la certezza etnica; quella che viene dal capo, la politica; e infine quella più sorprendente, l?intolleranza della ragione, quella ideologica, frutto di una ragione spinta all?eccesso. Per questo non ha più senso parlare dell?integralismo islamico come del nemico attuale». E se è vero che «in tutte le epoche e in tutte le parti del mondo ci sono state certezze che hanno spinto gli uomini ad uccidere o addirittura a sacrificare se stessi», allora quali sono gli elementi nuovi di quest?epoca? A fare la differenza è la globalizzazione, con le sue innovazioni a disposizione anche degli intolleranti.

Ma ciò che ha più movimentato il dibattito, con domande e osservazioni da parte degli spettatori, è stata la riflessione dell?autore mutuata da Karl Popper: «Non c?è bisogno di cercare a tutti i costi qualcosa in comune con l?altro, per essere tolleranti. Perché trovare qualcosa di comune fra dimensioni diverse, come le cosiddette religioni del Libro? Anche questa è una forma sottile di intolleranza, perché per dialogare è necessario che l?altro abbia qualcosa in comune con noi». E poi ancora: «Per essere tolleranti, non c?è bisogno di capire e apprezzare l?altra parte, si può anche pensare che abbia torto, sperando che prima o poi cambi idea. Ma non per questo bisogna eliminarlo. Una pacifica convivenza è possibile». La conclusione è incoraggiante: «Se il mondo si fondasse su questo minimo, sarebbe migliore». Cristina

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