Volontariato
Yonchang, un cinese in Campidoglio
Intervista al nuovo presidente della Consulta degli stranieri di Roma
Èla comunità più appartata. Eppure, nello stesso tempo, quella cinese è la più decisa e intraprendente sul piano economico e dovrebbe perciò essere fra le più partecipi: le scelte di una società possono condizionare quelle dei suoi imprenditori. Invece no. I cinesi continuano a vivere fra loro, a offrire allo sguardo un?opacità strana. Educata e discreta, ma al limite sfuggente. Forse a far scudo le molte differenze culturali. E non sarà un caso se proprio su questo prende avvio l?intervista al quarantaduenne Pan Yongchang, presidente della Consulta cittadina per la rappresentanza delle comunità straniere, alla quale il Comune di Roma ha affidato la rappresentanza delle singole comunità. «Per voi famiglia è madre, padre, figlio. La nostra invece è una famiglia allargata, comprende il cognato, il cugino, i fratelli, le sorelle. È soprattutto su questo livello culturale che è utile il contributo della Consulta»
Vita: Su quali priorità state lavorando?
Yongchang: L?informazione, il lavoro sul quale le comunità hanno differenti sensibilità. Gli africani hanno molti problemi in questo senso, noi cinesi lavoriamo nelle attività della nostra comunità. Capiamo poco l?italiano, non conosciamo le leggi, c?è poco tempo per leggere il giornale, vedere il tg. Noi li aiutiamo a informarsi. Per esempio un cinese che compra un negozio, deve sapere che possono esserci dei vincoli, non è sempre possibile cambiare finalità. È capitato che qualcuno abbia dovuto tener chiuso il negozio per molto tempo.
Vita: Ma quali sono le preoccupazioni dei cinesi?
Yongchang: Dopo il permesso di soggiorno, sono problemi imprenditoriali. A piazza Vittorio, ci sono quasi 600 negozi che lavorano con la Cina. C?è un problema di sicurezza. Va sempre peggio. Non sono tranquilli, quasi ogni giorno rapine, furti. Due anni fa si lavorava di più e meglio. Ma anche capita che dei container siano fermati alla dogana di Napoli. Stanno lì anche due-tre mesi. Magari contengono vestiti stagionali? passata la stagione non valgono più. Questa non è solo perdita individuale, ma di tutti.
Vita: L?economia soprattutto?
Yongchang: C?è anche il problema dei titoli di studio o dei certificati in genere. Da noi, ad esempio, per il matrimonio non si precisa «sposato dal». Mentre la questura chiede questa precisione. È sempre una questione culturale. Per noi il matrimonio significa una grande festa pubblica. Non si va davanti a un?autorità. Quindi capita che persone con figli già grandi non siano considerati sposati al Comune perché è mancata una comunicazione.
Vita: Qual è la tua attività?
Yongchang: Sono ristoratore. I miei hanno cominciato da lì. Adesso la mia famiglia ha anche un?agenzia viaggi, io ho creato una società per l?assistenza all?import- export. Sono qui da vent?anni, conosco bene l?Italia e la Cina.
Vita: La comunità cinese sembra quella più appartata.
Yongchang: Ma i cinesi non sono chiusi. Lavorano tanto, dalla mattina alla sera. Hanno poco tempo per scambiare con gli altri.
Vita: Come mai ha deciso di presentarsi alle elezioni?
Yongchang: Noi viviamo qui da tanti anni, mio zio da 65 anni. Il 90% della mia famiglia è in Italia, l?Italia è diventata la prima casa. Per noi che viviamo qui è molto importante lavorare con lo Stato, con il Comune. Per esempio le targhe alterne nel Comune di Roma al giovedì. Io ho fatto dieci telefonate, nessuno era al corrente.
Vita: Sono poche le persone che sentono questa esigenza…
Yongchang: Perché tutti pensano ai soldi. Non alla politica. Poi la Consulta non ha molti strumenti ancora.
Vita: Sua moglie è contenta del suo impegno?
Yongchang: Non è che non è contenta. Lavora molto e se io ci sono è meglio, do una mano. Ma mi appoggia. Tantissimo. È una fatica ma condivide il mio impegno.
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