Volontariato

Ma quali trionfalismi, la Fiat non ha più benzina

Eccesso di capacità produttiva. Il problema di Mirafiori ancora irrisolto. Tutte le falle nel sistema della grande azienda in un libro. L’unica uscita sarebbe quella della public company

di Christian Benna

«Una storia piena di occasioni mancate. Su tutte quella dell?auto che nel 2000 andava ceduta a DaimlerChrysler anziché preferire un accordo con General Motor». Giuseppe Berta, docente di Storia contemporanea alla Bocconi di Milano, ha appena pubblicato un saggio che sta già facendo discutere: La Fiat dopo la Fiat: storia di una crisi. 2000-2005. Un viaggio ai raggi X, senza timori reverenziali, nei corridoi del Lingotto.

E&F: Il suo libro esce accompagnato dagli echi sul ritorno ruggente di Fiat, un?azienda data per spacciata fino a un anno fa. Ha senso di parlare di Fiat dopo la Fiat?
Giuseppe Berta: In realtà l?azienda si è solo messa alle spalle solo la fase più acuta di una lunga crisi. Il rilancio è altra cosa. E questo per due ordini di motivi. Il primo è legato al modello irrisolto di corporate governance, insito nella commistione tra proprietà e gestione dell?impresa, che ha dato pessima prova di sé nelle ben note vicende del triangolo Ifil-Exor-Merril Linch con cui la famiglia Agnelli, senza comunicare i suoi movimenti finanziari al mercato, ha mantenuto il controllo sull?azienda. E poi c?è uno scenario tutt?altro che incoraggiante con cui fare i conti: Fiat deve farsi largo in una nuova configurazione mondiale dell?industria dell?auto in cui tutti i grandi gruppi stanno perdendo colpi sotto il peso di margini di redditività che si riducono vista d?occhio.

E&F: Un?altra critica è rivolta al piano industriale varato per i prossimi anni…
Berta: Mi pare che il progetto dell?azienda viaggi troppo sullo slancio dell?ottimismo. Resta il problema di un eccesso di capacità produttiva. Un fardello sino ad ora contenuto con un drastico contenimento dei costi. Non sarà affatto facile rispettare il piano industriale che intravede un margine operativo netto dell?auto – seppure inferiore a quello previsto per i veri motori del gruppo, ovvero Iveco e Cnh – compreso tra il 2 e il 4% del fatturato.

E&F: Quale il destino di Mirafiori, fabbrica simbolo, e dei suoi 14mila lavoratori?
Berta: Si tratta di un impianto obsoleto e soprattutto molto costoso. Lo stabilimento è stato salvato dagli enti locali con l?acquisizione di una parte dell?area, un decimo della superficie totale, che sarà poi convertita ad altri scopi industriali o all?innovazione. Grazie a questa operazione l?azienda ha potuto garantire l?avvio di una linea produttiva per la Grande Punto. Ma nel lungo periodo per Mirafiori non può esserci che un ulteriore ridimensionamento.

E&F: Un magro bilancio… Non c?erano alternative?
Berta: Troppe le occasioni mancate. Se nel 2000 l?auto fosse stata ceduta alle offerte di DaimlerChrysler oggi potremmo parlare di un gruppo forte e competitivo, come dimostrano i conti di Iveco e Case New Holland. Ma questa ipotesi si scontrava con la linea della proprietà che vedeva nella produzione di vetture una condizione irrinunciabile. Anche per il prestigio e il peso politico nello scacchiere nazionale che essa comportava. Sull?altare dell?auto poi sono state sacrificate parti importanti come Toro Assicurazioni, Fiat Avio, Rinascente.

E&F: Oggi sarebbe riproponibile la vendita del settore auto?
Berta: No. La maggior parte dei produttori è alle prese con drammatici tagli. Anche se ci fosse qualcuno con liquidità sufficiente a rilevare Fiat Auto poi dovrebbe vedersela con le parti sociali italiane per l?inevitabile chiusura degli stabilimenti dove la sovracapacità produttiva è una minaccia a qualsiasi vera ripresa.

E&F: Dopo quello tra Giovanni e Umberto, sembra di vedere un nuovo dualismo tra i due rami di famiglia, con John Elkann, vicepresidente Fiat e Andrea Agnelli, che siede nel cda dell?accomandita di famiglia. Come finirà?
Berta: Personalmente ho molto apprezzato l?intervista di Andrea Agnelli al Foglio la scorsa estate. Il giovane figlio di Umberto ha dato prova di sano realismo sostenendo che se il futuro dell?azienda fosse quello di una public company, in cui la maggioranza non fa più capo alla famiglia, non ci sarebbe alcun male. Anzi. Certe versioni del capitalismo familiare per lui non sarebbero altro che romanticherie. Peccato poi che il giorno seguente l?Ifil abbia tacciato questa affermazione come la sortita di uno stagista…

La carta di identità
Gruppo Fiat 2005:
Addetti in totale: 179.771
Fiat auto: 50.947 addetti
14.000 a Mirafiori (170.000 nel 1970)
20.000 nel Mezzogiorno
8.000 in America Latina
6.500 in Europa
2000 nel resto del mondo

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