Non profit

In che senso la famiglia è un valore

Tra le tante misure che si potevano prendere per affrontare quella grande questione nazionale che è il declino delle famiglie, questa non è certo la più necessaria...

di Giuseppe Frangi

Una cosa va detta subito per sgombrare il campo: indipendentemente da come la si pensi, è difficile sostenere che l?approvazione dei Dico fosse una delle urgenze nella vita di un Paese a cui le urgenze non mancano. Con una punta del sarcasmo che tutti gli conosciamo, Giulio Andreotti ha detto che nelle liste delle urgenze era più o meno al ventesimo posto. Non si deve essere sbagliato di molto.

Un?altra cosa va detta per sgombrare ulteriormente il campo: tra le tante misure che si potevano prendere per affrontare quella grande questione nazionale che è il declino delle famiglie, questa non è certo la più necessaria. Ricordiamo qualche dato per chi non avesse una percezione esatta della questione: i matrimoni (civili e religiosi insieme), sono scesi sotto quota 250mila; l?età media di chi si sposa è salita a 32 anni per gli uomini e a 30 per le donne. Ovviamente si alza anche l?età del primo e sempre più spesso unico figlio. Come curioso dato sociologico si può anche annotare che Milano è la prima città italiana in cui il numero dei nuclei costituiti da persone sole è superiore a quello delle famiglie. Ovviamente nel calcolo dei single sono compresi anche gli anziani soli, ma questo cambia poco nel film di una società in cui il mettersi in coppia per costruire una vita insieme sembra essere diventato un misterioso tabù.

Perché tutto questo è successo? Che cosa si poteva fare per arginare il declino? Sarebbe stato utile che la politica prima di stabilire le priorità avesse guardato in faccia la questione. Certamente ne avrebbe dedotto che i Dico non erano la prima delle questioni da mettere all?ordine del giorno, con tutto il rispetto per le attese di tante coppie (500mila dice l?Istat) che sono a metà del guado. Bastava fare come la laicissima Francia che prima ha impostato una radicale politica di rilancio della famiglia, raggiungendo un tasso di natalità record in Europa, e poi, a distanza di vent?anni, ha varato i Pacs, cioè una sorta di matrimonio ?debole?. Risultato: il boom di natalità Oltralpe ha contagiato tutte le tipologie di famiglie, autoctone o straniere, sposate o ?pacsate?. In Italia il processo fatto al contrario genererà risultati verosimilmente contrari. Famiglie ?tradizionali? assediate e impaurite si troveranno di fronte nuove coppie altrettanto esitanti nell?immaginarsi un futuro.

Infine, su questo quadro depresso, è piombato anche il tornado delle contrapposizioni ideologiche: da una parte un isterismo laico che impone la rivendicazione di diritti in parte discutibili come priorità irrinunciabili; dall?altra una Chiesa tutta sulla difensiva, che dà l?idea di arroccarsi su un assetto del passato anziché comunicare un?esperienza – quella del matrimonio – buona per il futuro e per la vita di tutti.Perché questo è il punto su cui tutti abbiamo perso. Quello di non aver saputo intercettare un?idea vitale di famiglia. Di non averle dato corpo, di non averci investito in senso sia concreto che ideale. Così abbiamo assistito a tristi tenzoni attorno a un soggetto sconfitto, che come ha scritto Roberto Volpi (statistico e laico) nel libro di cui abbiamo già parlato su queste pagine, «ha perso peso e prestigio nella società, non riuscendo più a influenzarne le dinamiche socio-economiche, culturali e politiche».Eppure non è questo l?unico orizzonte. Una società che così si è consegnata mani e cuore alle logiche dell?individualismo (in fondo i Dico sono proprio l?affermazione di una ?famiglia? in cui sono diventati prioritari gli interessi individuali) non è una società che abbia molte chance.

E quindi prima o poi i nodi sono destinati a venire al pettine.

Un segnale lo si è avuto la scorsa settimana ad un convegno organizzato dalla Cei (cioè dai vescovi) in cui invece di parlare di Dico era stata messa a tema la questione del rapporto tra famiglia ed economia. Ed è bastato uscir fuori dalle angustie ideologiche per avere la sensazione che le cose si rimettessero in marcia. Per esempio, dalle parole di Vera Negri Zamagni, che ha dimostrato come lo stesso sistema economico senza avere alle spalle quel formidabile laboratorio di fiducia che è la famiglia, è destinato a finire su un binario morto. «Il mercato si regge sulla fiducia, ma non è in grado di produrla. Un meccanismo di questo tipo non può sostenersi. Ha bisogno assoluto che la famiglia recuperi una soggettività e una priorità sociale».

Oppure dalle parole di Luigino Bruni, altro economista, che ha messo sul tavolo un tema affine: quello della felicità. Una ricerca effettuata da Layard Richard della London School of Economics ha dimostrato, con una ricerca a livello mondiale, che se la diminuzione di un terzo del reddito pesa uno sulla psicologia dell?individuo, il fallimento di un matrimonio pesa quattro. «Nonostante questo investiamo così poco sulla famiglia», spiega Bruni. «Eppure è questo il luogo in cui si producono capitali di gratuità che sono necessari per il funzionamento di qualsiasi sana economia. Invece oggi si procede con una logica opposta: si cerca di insediare la cultura contrattuale anche in quell?ambito che si è sempre retto sulla forza di rapporti non strumentali». Come dire: la famiglia produce valore vero, nel senso propriamente economico del termine. E senza quella benzina non si va molto lontani. Dico o non Dico.

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