Formazione
Cooperazione: c’e n’è una di segno più
Cento milioni di euro stanziati ogni anno per i paesi in via di sviluppo, una rete sempre più fitta di relazioni con amministrazioni locali in tutto il mondo, innovazione legislativa.
Gli abruzzesi vanno in Brasile, i toscani in Africa, i friulani nei Balcani. È una specie di migrazione al contrario che ogni anno riesce a smuovere circa 100 milioni di euro, la cooperazione allo sviluppo che fa capo alle Regioni d?Italia. Seguire tutte le direzioni in cui si muove è impossibile. Perché quel che Vita ha scoperto, nel suo viaggio-inchiesta regione per regione, è una rete fitta di rapporti, gemellaggi, progetti di sviluppo verso il Sud del mondo, l?area del Mediterraneo e l?Est Europa, che coinvolge enti locali e organizzazioni non governative, ma anche ospedali, centri di ricerca, università e imprese.
Quella delle Regioni è solo una fetta della cooperazione decentrata, che dal punto di vista economico comprende anche tutte le voci che gli enti locali – Province e singoli Comuni – destinano alla solidarietà internazionale. E alla fine si scopre che se l?Italia è scesa all?ultimo posto fra i paesi più industrializzati in quanto ad aiuti ai paesi in via di sviluppo (lo 0,15% del Prodotto interno lordo), a livello locale e territoriale le cose sembrano marciare in senso opposto e a tutt?altra velocità.
«La cooperazione decentrata non dà semplicemente aiuti ai paesi poveri», chiarisce subito Gildo Baraldi, direttore dell?Oics, l?Osservatorio interregionale per la cooperazione allo sviluppo. «Ha tre caratteristiche principali: parte dal territorio, costruisce partenariati con enti locali in altri paesi del mondo, risponde al principio di reciprocità. Si tratta di cooperazione umanitaria ma anche economica: va dal finanziamento ai progetti di sviluppo al sostegno ai processi di internazionalizzazione delle aziende».
Nei primi anni 90 tutte le Regioni hanno cominciato a stanziare finanziamenti per progetti delle ong nei paesi in via di sviluppo o a promuovere interventi diretti di solidarietà internazionale, una possibilità aperta dalla legge 49 dell?87 sulla cooperazione. Oggi tutte tranne tre (Campania, Calabria e Sicilia) si sono dotate di una legge regionale per la cooperazione decentrata, anche se variano da una Regione all?altra i fondi messi a disposizione, il livello organizzativo e la capacità di relazionarsi agli organismi internazionali (Unione europea e Nazioni Unite), le politiche di cooperazione e i criteri di scelta dei progetti.
Secondo i dati forniti a Vita dagli uffici competenti, chi stanzia di più per la cooperazione decentrata è la Regione Lombardia con 7 milioni di euro nel 2005. Seguono la Toscana con 5 milioni e mezzo di euro, l?Emilia con 4 milioni e 100mila, il Piemonte con 3 milioni e mezzo, il Veneto con 2 milioni e 900mila e il Lazio con 2 milioni e 100mila. Attorno al milione di euro si attestano Sicilia, Abruzzo, Friuli, Marche e Puglia. Dai 300mila euro in giù Campania, Liguria, Valle d?Aosta. Fino alla Basilicata, fanalino di coda con 50mila euro l?anno.
L?autonomia trentina
Ma se per Regione si intende il territorio, il contributo del Trentino è in assoluto il più generoso. La sola Provincia autonoma di Trento ha approvato per il 2006 un budget di 10 milioni e 200mila euro, superiore a quello della Regione Lombardia. Tra Regione e Province autonome c?è anche differenza nelle strategie di intervento: se Trento e Bolzano (che ha stanziato 1 milione di euro nel 2005) finanziano soprattutto progetti di sviluppo a lungo termine nei paesi poveri, il contributo della Regione (3 milioni di euro all?anno) è destinato a emergenze umanitarie e calamità naturali. «Per noi fare solidarietà significa soprattutto creare relazioni territoriali», afferma Luciano Rocchetti, responsabile dell?ufficio Emigrazione e solidarietà internazionale della Provincia autonoma di Trento. E spiega così le cifre: «Quattro anni fa il budget della Provincia era di un milione e mezzo di euro, come Bolzano. L?escalation di fondi destinati alla cooperazione decentrata è un segnale politico. Ed è frutto di un?ampia consultazione con la società civile. L?idea di fondo è che, in un contesto globalizzato, i problemi o si affrontano complessivamente o non si affrontano. Trento, inoltre, ha 300 missionari sparsi nel mondo e un centinaio di associazioni non profit che sostengono progetti nei paesi poveri: tutte queste relazioni spingono il territorio ad aprirsi. Nel 2005, dopo un biennio di assemblee con le associazioni del terzo settore è nata anche una legge provinciale sulla cooperazione, che propone di destinare una quota fissa pari allo 0,25% delle entrate alla cooperazione internazionale. Ma la legge è stata impugnata dal ministero Affari esteri e ora attendiamo il verdetto della Corte costituzionale».
Dati incerti
Il mondo della cooperazione decentrata viaggia a velocità diverse: se i dati sono certi e comunicati in tempi brevi dalle Regioni più organizzate, in altre bisogna passare da un assessorato all?altro per avere un dato complessivo. Spesso, dall?altra parte del telefono, il calcolo è accompagnato dall?incertezza circa quali voci debbano essere incluse nel totale. Il caso più eclatante è quello delle Marche: secondo l?Osservatorio interregionale per la cooperazione decentrata la Regione è al quarto posto in Italia per fondi stanziati, per un totale di 4 milioni di euro, ma l?ufficio per le Relazioni internazionale ne comunica solo 1 milione e 300 mila.
«Le Regioni stesse non sanno quanto stanziano per la cooperazione decentrata », afferma Gildo Baraldi dell?Oics. «Uno dei motivi è che le relazioni di aiuto o di partenariato con i paesi in via di sviluppo sono trasversali e riguardano più assessorati. Le Marche probabilmente non hanno conteggiato i fondi di un ingente progetto di cooperazione con l?Albania, che ha portato infrastrutture idriche ed elettriche nella zona di Valona per facilitare gli investimenti delle aziende marchigiane. Certo non si tratta di mera solidarietà senza ritorno, ma del resto questo non è lo scopo della cooperazione decentrata, che per legge si basa sul vantaggio comune per i territori coinvolti. In Albania, in ogni caso, le infrastrutture resteranno».
Modelli diversi
Dagli anni 90 ad oggi si sono sviluppati modelli diversi di cooperazione decentrata. La Lombardia applica anche alla solidarietà internazionale il principio di sussidiarietà, e affida al privato sociale la cooperazione. Più interventista la Toscana, che ha proposto un?agenzia regionale «per coordinare gli interventi ma anche per delineare una politica della cooperazione », spiega l?assessore Massimo Toschi.
Il Piemonte ha optato per un modello integrato, che mantiene una quota di finanziamenti per soggetti non governativi ma stanzia una quota per iniziative dirette della Regione e una per quelle degli enti locali. «Il Trentino ha una grande tradizione di cooperativismo e microcredito, e abbiamo visto che questi modelli funzionano anche quando si tratta di aiutare altre comunità», afferma Paolo Barbacovi, presidente dell?Ordine dei medici di Trento e consigliere Ds, tra i promotori della legge provinciale per la cooperazione decentrata. «Crediamo che non abbia più senso la cooperazione calata dall?alto, e che le comunità locali possano diventare soggetti del proprio sviluppo, scambiandosi esperienze e competenze le une con le altre».
Decentrata ed efficiente
Cooperazione decentrata. Un modo sussidiario e complementare alle iniziative statali e sovranazionali di gestire le relazioni esterne in chiave di partenariato complessivo tra territori.
La LEGGEn. 131/03, attuativa del riformato Titolo V della Costituzione, prevede che «le Regioni e le Province autonome (?) possono concludere, con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale» e che «possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale».
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