Cultura

Roma città riaperta. Grazie a Wojtyla

Quello tra il Papa polacco e la sua città di adozione è stato un rapporto speciale: a un anno da Giovanni Paolo II, Walter Veltroni ricorda quei giorni

di Giuseppe Frangi

Un legame reale, concreto. «Anzi, per dirla tutta, un vero legame d?amore». Walter Veltroni un anno dopo quelle dolorose e straordinarie giornate dell?addio a Papa Wojtyla, non ha assolutamente affievolito i suoi sentimenti verso un Pontefice che ha segnato come pochi la storia di questa città. «Spesso gli piaceva sottolineare come il nome Roma, letto al contrario, fosse ?amor?. Un piccolo gioco di parole che però ha un significato grande», ricorda Veltroni. Il sindaco ha avuto un rapporto di grande familiarità con il Pontefice, incontrato in tante circostanze. Come quel 31 ottobre 2002 quando venne consegnata al Papa la cittadinanza onoraria romana. «Ci accolse con quel ?semo romani? che in fondo, prendendoci un po? di libertà, possiamo considerare la traduzione del ?civis romanus sum?. è stato un giorno di grande gioia, e l?emozione per me personalmente è stata grande. Ho ripensato al giorno in cui, anche con un po? di timore, gli avevo esposto questa idea e lui mi aveva esortato dicendomi ?vada avanti?. Così abbiamo fatto, ed è stato un grande onore, oltre che un segno di ringraziamento e di affetto da parte di tutta la città, aver visto Giovanni Paolo II accettare la cittadinanza onoraria di Roma. è un ricordo che porterò sempre con me». Vita: Quale ricordo conserva di Papa Wojtyla? C?è un incontro con lui che la colpì personalmente e particolarmente? Walter Veltroni: Le occasioni in cui ho incontrato Papa Giovanni Paolo II sono state molte e tutte, sempre, emozionanti. Ricordo quando nell?agosto del 2001 mi recai con la mia famiglia a Castel Gandolfo. Non era la prima volta che incontravo Papa Wojtyla. Fu una visita informale, per testimoniargli i valori ai quali intendevo ispirare il lavoro dell?amministrazione nella città e che il Campidoglio si sarebbe mosso in sintonia con gli alti valori da lui richiamati. In quell?occasione espressi la mia preoccupazione per le persone che vivono in solitudine, e per la condizione di disagio delle famiglie dei disabili. Parlammo di razzismo, di xenofobia, della fame nel mondo. Ad un certo punto, però, la conversazione si fece più confidenziale e raccontai al Papa un episodio di cui fu protagonista la mia figlia più piccola, Vittoria, che allora aveva 11 anni. Nel 93 – quando Vittoria aveva 3 anni – fummo ricevuti dal Pontefice. Io e mia moglie ci girammo per un attimo e mia figlia si andò a sedere sulla sedia del Papa. Raccontai questo episodio a Giovanni Paolo II e subito il Pontefice chiese a Vittoria se si fosse seduta sulla sua sedia anche in quella occasione. Vita: Quelle giornate di un anno fa svelarono al mondo una Roma che nessuno sospettava: partecipe e organizzatissima. Che ricordo conserva di quei momenti? Veltroni: Sono state giornate di un?emozione intensa. Abbiamo assistito a qualcosa di grande, molto grande. Grande è stato il desiderio dei fedeli di rendere omaggio al Pontefice che per quasi 27 anni non solo ha attraversato, ma ha scritto la storia. Insieme a questo ci sono stati anche altri sentimenti, altre spinte, che hanno fatto uscire persone diverse tra loro dalla dimensione individuale per entrare in uno straordinario momento collettivo. In quella folla, gli uni a fianco agli altri, c?erano cattolici ma anche uomini e donne di altre fedi. C?erano credenti, ma anche non credenti. Mi ha colpito sentire tante persone dire che essere lì, per loro, era ?un dovere?. Già questa è una cosa preziosa, in un?epoca in cui sembra invece dilagare l?egoismo, il cinismo, il mero tornaconto personale. Roma è stata invasa da un oceano di persone. E ha vinto con l?amore la sua sfida più difficile. Anche sotto il profilo organizzativo. Vita: Senza Papa Wojtyla la Chiesa e Roma sono un po? meno al centro del mondo? Veltroni: Al di là dei convincimenti personali e religiosi, Giovanni Paolo II è stata la voce che nel passaggio di millennio si è elevata più di altre come possibile risposta alla grande e diffusa domanda di senso. Monsignor Gianfranco Ravasi, in alcuni suoi scritti, ha sottolineato come Papa Wojtyla sia stato forse l?unico vero ?simbolo? del nostro tempo. Simbolo nel senso etimologico, e cioè colui che ?mette insieme? realtà diverse, persino opposte, assegnando a esse un valore superiore. Simbolo in cui identificarsi e ritrovarsi, pur nella singolarità delle proprie esperienze. Difficile restare immuni dal fascino di chi sapeva procedere, in molti casi, in senso contrario rispetto alla corrente. è stata una figura straordinaria, una grande guida della Chiesa, protagonista di quasi 27 anni di un pontificato che non solo ha accompagnato la storia, ma che la storia ha contribuito a scrivere. Papa Wojtyla era la Chiesa stessa, era l?esempio di come un?istituzione millenaria – per riprendere le sue parole – possa essere sempre al centro del mondo, e lo rimarrà nonostante i mutamenti imposti dalla società e dalla storia. Lo stesso, e per motivi diversi, accade per Roma. Anch?essa con una trascorso millenario alle spalle, cresce, si sviluppa, intraprende nuove strade, ma mai potrà sottrarsi al ruolo che i secoli sino ad oggi le hanno conferito nel mondo. Vita: Qual è un lascito di Papa Wojtyla a Roma? Veltroni: Il rapporto di Giovanni Paolo II con Roma è stato speciale, unico. è stato un legame d?amore. Un amore ricambiato. Lo si è visto dalla premura e dall?affetto che hanno sempre circondato il nostro vescovo ogni volta che abbiamo provato apprensione per lui, come si fa per un familiare o per una persona cara. Ed è proprio l?amore il lascito più grande che Papa Wojtyla ha donato alla nostra città. Il suo legame con Roma è stato reale, concreto. Alla parola il Pontefice ha sempre unito la vicinanza fisica, in un pellegrinaggio che l?ha portato in ogni quartiere della città, davvero a ?varcare la soglia? delle case dei romani, degli ospedali, partecipando alla sofferenza dei malati, e in particolare dei bambini, delle mense per i poveri, testimoniando nel modo più alto il valore dell?attenzione ai più deboli, della carità cristiana, della solidarietà. Delle carceri, confortando i detenuti, trovando parole di perdono anche per chi aveva alzato un?arma contro la sua persona. E poi quella soglia varcata il 13 aprile del 1986, quella della Sinagoga, quando volle chiamare gli ebrei «i nostri fratelli maggiori», aprendo un?epoca nuova nei rapporti tra mondo ebraico e Chiesa cattolica, e insieme contribuendo a unire ancora di più una comunità cittadina che davvero vuole essere, così come esortò lo stesso Papa Wojtyla, «un modello di convivenza tra uomini e donne di idealità e di religione diverse». Vita: Che filo conduttore scorge tra questo papato e quello che l?ha preceduto? Veltroni: Credo che il filo conduttore che lega i due Pontefici sia essenzialmente il dialogo. Giovanni Paolo II è stato il Papa che più di ogni altro ha abbattuto muri e costruito ponti. Non è stato un caso che dai più alti rappresentanti delle differenti religioni siano venute, nei giorni dei funerali di Papa Wojtyla, parole di affetto, di partecipazione e di riconoscenza. E non è stato un caso che anche nell?aula Giulio Cesare, quando abbiamo ricordato in Campidoglio la figura del Santo Padre, si siano ritrovate tante persone di fedi diverse a ricordare il Papa dello ?spirito di Assisi?, di quello straordinario incontro del 27 ottobre del 1986: gli uni accanto agli altri, uniti nella preghiera del mondo per la pace. È stato il Papa del dialogo. E anche Papa Benedetto XVI crede fortemente in questo valore. Con lui il ?viaggio? di Papa Wojtyla non si è interrotto, è come se Papa Ratzinger ne fosse il suo naturale prosecutore.


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