Mondo
Africa: al cuore del potere cinese
Chi sono gli uomini e le donne che determinano la politica estera di Pechino nel continente africano
Quando mai un leader europeo ha intrapreso in Africa tre viaggi di Stato nel giro di quattro anni? Mentre le avventure si Prodi si limitano a sporadiche visite di cortesia (sia nelle vesti di ex Presidente della Commissione europea che di attuale premier italiano), c’è chi, come Hu Jintao, ha macinato sul continente africano decine di migliaia di chilometri. Dal suo arrivo al potere (nel marzo 2003), il Presidente della Repubblica popolare cinese ha dato una svolta “strutturale” ai rapporti sino-africani, al punto da fare dell’Africa un continente strategico per lo sviluppo economico della Cina. La dimostrazione ci è stata offerta dal tour de force intrapreso da Hu Jintao tra il 30 gennaio e il 10 febbraio scorso. Dodici giorni durante i quali il presidente cinese ha visitato ben otto paesi africani (nell’ordine: Camerun, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia, Sudafrica, Mozambico e Seychelles). Come sottolineato dall’ex direttore dell’Economist, Bill Eliott, nell’analisi pubblicata su Repubblica, nonostante la sua recente penetrazione commerciale, per Pechino l’Africa non sarà una passeggiata. Se inizialmente la sua linea politica ha privilegiato la non intromissione negli affari interni degli Stati con cui sviluppa rapporti commerciali fruttuosi, da alcuni mesi la Cina risulta, al pari delle potenze occidentali, oggetto di contestazioni molto virulenti da parte di alcuni partner africani. Basti pensare alle compagnie cinesi accusate di deforestazione in Gabon e in Congo, oppure alle accuse rivolte alle sue politiche commerciali aggressive che minacciano il settore impiegatizio come quello sudafricano. E poi, cosa dire dei sequestri di operai cinesi nel Delta del Niger? O della “caccia” ai dipendenti di aziende targate made in China verificatesi in Camerun?
Nonostante gli scambi commerciali tra la Cina e l’Africa sia passato dai 10 miliardi di dollari del 2000 agli attuali 56 miliardi di dollari (2006), nonostante la presenza sul continente di un migliaio di imprese e di oltre 100mila cittadini cinesi, Pechino è confrontato ai suoi primi, improvvisi, ostacoli. Questo ci consente di fare il punto su chi, all’interno della diplomazia cinese, è incaricato di reagire ai contraccopli precedentemente evocati. “Chi sono questi signori (e signore) Africa di Pechino?”, è il titolo di un documento sorprendete pubblicato dal Gruppo editoriale Indigo. Soprendente perché sotto l’ala di due viceministri degli Esteri cinesi, Zhai Jun e Lu Guozeng (ex ambasciatore in Tunisia), si scopre che a dirigere la politica africana sono due donne. La prima si chiama Zu Jinghu, direttrice generale del dipartimento Africa del ministero degli affari Esteri (il dipartimento è poi suddiviso in sette uffici regionali), mentre Li Liqing fa da alterego all’interno del partito comunista cinese (di cui dirige il quarto ufficio del dipartimento relazioni esterni presso il Comitato centrale).
Questo per quanto riguarda la diplomazia corrente. Già, perché le questioni sensibili (intelligence, sicurezza, cooperazione militare) sono invece di stretta competenza di un peso massimo dell’esecutivo cinese. Stiamo parlando di Wu Guanzheng, numero sette del regime e protagonista nell’agosto 2006 di una visita molto discreta nel continente africano.
Sul versante commerciale, gli affari petroliferi (fondamentali per Pechino) sono gestiti da Londra, dove le tre majors cinesi (Cnpc, Sinopec e Cnooc) hanno aperto i loro uffici regionali. Per quanto riguarda le telecomunicazioni, altro settore chiave dell’espansione cinese in Africa, sono sotto lo stretto controllo di due imprese (Huawei e ZTE) impiantate a Johannesburgh (Sudafrica).
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