Famiglia

Finanza

Come ridire oggi la parola finanza senza provarne paura? Bisogna ripartire dalle regole, prima ancora che dall’etica, risponde Pellegrino Capaldo

di Riccardo Bonacina

finanza , s.f. 1. Complesso dei beni di cui dispone lo Stato o un ente pubblico o privato per l?esercizio delle proprie attività. 2. Complesso delle attività di emissione, collocamento, negoziazione e intermediazione di titoli, valute e altri valori mobiliari che si svolgono sui mercati finanziari. (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Pellegrino Capaldo: Premesso che è difficile dare una definizione compiuta del termine ?finanza?, direi che nessuna delle nozioni indicate dai dizionari mi convince. Sono tutte per così dire parziali: qualcuna, infatti, fa riferimento al solo settore pubblico; qualche altra fa riferimento in prevalenza al mondo delle imprese e così via. Comunque, se si vuol tentare una definizione generale, potremmo dire che con il termine ?finanza? si designa quel complesso di attività che attiene alla gestione dei flussi monetari; ovvero quel complesso di attività che attiene da un lato, alla formazione e all?impiego del risparmio e, dall?altro, al reperimento delle risorse occorrenti a far fronte agli investimenti o ad altre esigenze. Vita: Dopo cinque anni di scandali finanziari, dalla Enron alla Parmalat, dalla Popolare italiana a BipopCarire e Cirio, non crede che questa parola sia ormai indissolubilmente associata ad una percezione di un qualcosa di truffaldino o inaffidabile? Almeno a livello popolare? Capaldo: Purtroppo è vero. Ma è profondamente sbagliato, anzi è pericolosamente sbagliato. La finanza svolge una funzione insostituibile nello sviluppo economico e civile; e non ha senso liquidarla con giudizi sommari. Piaccia o no, la finanza è indispensabile e allora più che indulgere a luoghi comuni di connotazione negativa, lavoriamo per renderla sempre più limpida ed efficace; e lavoriamo anche per diffondere un po? di ?cultura della finanza?. Vita: In che senso parla di ?cultura della finanza?? Capaldo: Tralascio i pur interessanti profili di carattere generale e dico subito che uno dei cardini di una cultura della finanza è la chiara consapevolezza che ogni attività finanziaria implica un rischio. Se è vero che la finanza è essenzialmente un ponte tra chi risparmia risorse e chi le richiede per finanziare i propri investimenti, è evidente la ineliminabile presenza di un rischio. Compito della finanza è analizzare, trattare questo rischio, renderlo palese, cercare di misurarlo; e poi proporlo ai risparmiatori, ripartirlo tra vari soggetti in funzione della loro specifica propensione ad assumerselo; e ancora correlare intensità del rischio e attese di guadagno. Tutto può fare la finanza tranne che eliminare il rischio. La finanza deve saper armonizzare – sotto il profilo del rischio, dei tempi di smobilizzo, ecc. – le esigenze di chi risparmia con quelle di chi tale risparmio raccoglie e investe: il tutto in modo estremamente chiaro e trasparente. Vita: Insomma, non esistono impieghi del risparmio privi di rischio? Capaldo: Proprio così. E il risparmiatore lo deve sempre tener presente. Per quanto piccolo, il rischio esiste sempre: basta pensare a quello implicito nell?inflazione (la cui copertura, per altro, non sempre è agevole). Il risparmiatore può optare per un profilo di rischio estremamente contenuto ma deve avere ben chiaro che, in tal caso, anche il guadagno sarà estremamente contenuto. Se vuole guadagni più elevati deve inevitabilmente esporsi a rischi via via più alti. È un principio ovvio, questo; ovvio fino alla banalità. Eppure è un principio che stenta ad essere compreso, ad essere assimilato; che stenta mi si passi l?espressione – a diventare ?cultura?. Sotto questo aspetto va detto che la stampa, in particolare quella economica, potrebbe fare di più. Per esempio evitando di cavalcare sempre e comunque l?onda emotiva ogni qualvolta vi è un dissesto che comporta perdite per i risparmiatori. E soprattutto evitando di parlare sempre e comunque di ?scandali finanziari?. Vita: Da dove ripartire per ripronunciare la parola finanza? I vocabolari, seppur non esplicitamente, suggeriscono in qualche modo che finanza possa essere un ?bene comune?, un ?bene pubblico?, una ?risorsa? per tutti . Utopia o strada praticabile? Capaldo: Effettivamente può dirsi che la finanza è un ?bene comune?. In questo senso, del resto, dicevo prima che essa svolge una funzione essenziale. Direi anche che la finanza è una sorta di infrastruttura, necessaria per l?equilibrato sviluppo di un paese come lo sono le reti di comunicazione, un?efficiente pubblica amministrazione, una buona istruzione della popolazione e così via. La finanza deve far sì che tutte le iniziative utili allo sviluppo del paese trovino le risorse necessarie per la loro realizzazione, che le imprese possano crescere anche con progetti di lungo respiro a redditività differita, che tutte le risorse e le potenzialità presenti nel paese possano essere valorizzate al meglio. Per far questo la finanza deve saper lavorare sul risparmio, opportunamente trasformandolo in modo da rendere compatibili – come dicevo prima – le sue esigenze e le sue differenti propensioni al rischio con le caratteristiche degli investimenti che esso concorre a finanziare. Questo, in estrema sintesi, è il ruolo della finanza. Ma quando dalle ?enunciazioni? passiamo all?attuazione, le cose diventano più complicate. Vita: Perché si complicano? Capaldo: Perché siamo in epoca di globalizzazione e se c?è un settore veramente globalizzato, questo è proprio la finanza. In un paese con un sistema economico più o meno chiuso sarebbe relativamente facile, per la politica, seguire lo schema prima delineato e fare della finanza un?infrastruttura al servizio dello sviluppo. In una dimensione planetaria l?obiettivo della finanza resta lo stesso ma è più difficile da realizzare: occorrerebbe, infatti,un grado di coesione o almeno di collaborazione politica tra tutti i paesi che per ora non c?è. Basta che un paese allenti certi controlli o rinunci a certe regole perché tutto il sistema ne risenta. Lasciata a se stessa, senza una cornice fissata dalla politica, l?attività finanziaria può facilmente degenerare. I capitali vagano da una parte all?altra del mondo alla ricerca del miglior rendimento a breve termine. Spesso rifuggono dagli impieghi a lungo termine, che sono poi i più efficaci per un sano progresso economico e anche per promuovere la crescita dei paesi poveri. Tutto viene lasciato all?automatismo del mercato a cui talora ci si affida con cieco fideismo. Ma senza regole il mercato funziona male e può generare squilibri assai gravi. D?altra parte è difficile stabilire regole per un mercato planetario, senza intese politiche a livello planetario. Questo è il problema che abbiamo di fronte. Vita: Come se ne esce? Capaldo: Non ho ricette bell?e pronte. E credo che nessuno le abbia. Secondo me occorre impegnarsi su due fronti. Da un lato, in una prospettiva lunga e avendo presente la dimensione planetaria, bisogna adoperarsi perché si sviluppi una vera cooperazione che sappia offrire a tutti i paesi motivi validi per esserne partecipi. Dall?altro, bisogna saper guardare con duttile pragmatismo e spirito d?iniziativa ai fatti di casa nostra, per cogliere gli aspetti positivi della globalizzazione in atto e contrastare quelli negativi. A questo proposito, occorrerebbe, intanto, porre con energia alcune questioni in ambito europeo. Perché, ad esempio, in Italia non si possono fare, in materia di finanza, cose che si possono fare, invece, in Irlanda o in Lussemburgo? Almeno a livello europeo dovremmo realizzare una vera uniformità fiscale. Vita: Non crede che sarebbe importante una maggiore attenzione agli aspetti etici della finanza? Capaldo: Non confonderei i piani. La finanza, soprattutto la finanza internazionale, ha bisogno di regole; e queste non possono che essere date dalla politica e, purtroppo, con i tempi della politica. Solo in un quadro di regole, ha senso fare un discorso di etica. Sarebbe semplicistico surrogare le regole con un generico richiamo all?etica. Ciò non significa sottovalutare il ruolo dell?etica ma solo darle il giusto posto. È chiaro che, come tutte le attività umane, anche l?attività finanziaria, se condotta da persone eticamente informate, riesce più corretta e più conforme ai bisogni e alla dignità dell?uomo. Ma l?etica non può essere imposta. Si possono imporre buone regole ma non l?etica che è qualcosa di più del pieno rispetto delle regole. Altrimenti facciamo solo vuote enunciazioni. E qui ritorniamo al discorso precedente sulla cultura della Finanza. Chi è Pellegrino Capaldo Il prof dirigente tra profit e non profit Pellegrino Capaldo, dal 1970 è professore ordinario di Economia aziendale presso l?università La Sapienza di Roma. È autore di libri e saggi su finanza aziendale, bilanci dello Stato e d?impresa. Parallelamente all?attività accademica ha sempre svolto consulenze professionali per aziende ed enti pubblici e privati. Per molti anni si è dedicato in particolare al settore del credito. È stato presidente della Cassa di Risparmio di Roma e della Banca di Roma. Agli inizi degli anni 90 ha promosso la Fondazione italiana per il volontariato di cui è stato anche presidente.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA