Welfare

Carcere: fuori prima le donne e i bambini

Un’imputata con figli di età inferiore ai 10 anni deve essere inviata in una casa famiglia protetta, e non in cella e le case famiglia dovranno essere fuori dagli istituti penitenziari ...

di Maurizio Regosa

Bambini e carcere, un rapporto che non dovrebbe esistere, ma che invece è realtà: oggi circa 30 bambini con meno di tre anni vivono in cella con le loro madri. Esiste però una proposta di legge, primo firmatario Enrico Buemi (Rnp), che modifica tale normativa, puntando tra l?altro a potenziare le misure alternative al carcere per le mamme di bimbi piccoli.

Evitare che vi siano minori in carcere perché le mamme sono detenute. È lo scopo della proposta di legge presentata da alcuni deputati a maggio 2006 e discussa in un recente convegno a Roma significativamente intitolato Che ci faccio io qui? Perché nessun bambino varchi più la soglia del carcere.

La proposta mira ad aggiornare, alla luce dell?esperienza e delle difficoltà incontrate, quanto stabiliva la cosiddetta legge Finocchiaro (la 40 del 2001) rimuovendo quegli ostacoli di tipo normativo e amministrativo che fanno sì che ancora oggi ci siano circa 30 minori dietro le sbarre. Punto centrale del nuovo testo è l?ideazione e realizzazione di un nuovo strumento, le case famiglia protette: laddove non siano praticabili misure alternative, un?imputata con figli di età inferiore a 10 anni deve essere inviata in queste strutture, dove la tutela può più facilmente conciliarsi con l?esigenza di tipo educativo. Tali case-famiglia, afferma l?articolo 5, «devono essere realizzate fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che, nella previsione di strumenti di controllo da adottare, tengano conto principalmente delle esigenze psico-fisiche dei minori». E per definirne il funzionamento, la proposta prevede un ulteriore decreto del ministero della Giustizia.

«Si tratta», ha spiegato Leda Colombini dell?associazione A Roma Insieme, «di una scelta di civiltà, perché in questo modo la madre può rielaborare la responsabilità genitoriale mentre il figlio può esercitare i suoi diritti, il primo dei quali è non essere costretto a vivere in una prigione». In questa logica si iscrive anche l?obbligo che in caso di invio al pronto soccorso o di ricovero in ospedale il minore debba essere accompagnato dalla madre: come suggerisce anche il buon senso, fa parte dei suoi diritti non affrontare da solo un?ospedalizzazione o un trattamento medico. «È intenzione del governo», ha detto nel suo intervento il sottosegretario alla Giustizia, Daniela Melchiorre, «appoggiare questa proposta».

C?è quindi la speranza che sia approvata in tempi abbastanza stretti (anche se si deve sciogliere il nodo dei fondi per creare e gestire queste strutture), dopo che la commissione Giustizia della Camera ha licenziato il testo, amputato però di una parte significativa, quella che riguardava le mamme extracomunitarie, spesso espulse automaticamente dopo aver scontato la pena. La proposta originaria prevedeva che fosse possibile revocare il decreto qualora si accertasse «il reinserimento sociale a seguito del lavoro effettuato durante la detenzione» o in presenza di una promessa di lavoro anche temporaneo. Una misura significativa tanto più pensando a quei minori che, nati magari in Italia, sono cresciuti dietro le sbarre e si troverebbero a dover «ritornare» in un Paese originario di cui nulla sanno.


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