Formazione

Calcio in crisi, parola allo sport di base

Ecco le ricette di Edio Costantini (Csi) e Filippo Fossati (Uisp). Su VITA in uscita, l'economista Marco Vitale spiega perché Luca Pancalli aveva ragione nel voler fermare le partite

di Redazione

VITA ha raccolto due voce importanti dello sport di base per capire come usciree dalla situazione in cui sembra essere irrevocabilmente caduto il calcio italiano. Ma non solo. In edicola da venerdì uno speciale dal titolo “Calcio Marcio”, consultabile da subito online per i soli abbonati al settimanale.

Una notte di follia
di Edio Costantini (presidente CSI)

La notte di follia che ha accompagnato la partita Catania-Palermo, con la morte dell?ispettore Filippo Raciti, e prima ancora l?aggressione mortale avvenuta in Calabria ai danni del dirigente sportivo Ermanno Licursi, hanno aperto per l?ennesima volta il dibattito sul rapporto tra sport e violenza, e in particolare su calcio e violenza.

Non ci sono attenuanti per quanto accaduto. Non si può morire per una partita di pallone. Ha giustamente stupito e indignato, in entrambi gli episodi, una ferocia di comportamento che suona in stridente antitesi con l?inconsistenza delle cause scatenanti. Bene hanno fatto le istituzioni e il governo sportivo a preoccuparsene, cercando soluzioni perché nulla del genere avvenga in futuro.
Piuttosto discutibile invece è il modo in cui una parte importante del dibattito generale si è indirizzata nel mettere sotto accusa il calcio in sé, ritenuto quasi un animale pericoloso da guardare a vista in quanto capace di scatenare naturalmente violenza. Il susseguente giro di vite sulla misure di sicurezza a latere delle partite di calcio non è stato chiesto per quello che realmente avrebbe dovuto essere: la conseguenza di una allarmante situazione generale di ordine pubblico, che vede in preoccupante aumento gli atti di violenza collettiva compiuti dai giovani, e quindi il sintomo di un malessere sociale. Si è preferito, probabilmente perché versione più tranquillizzante, dire che lo sport e il calcio recano in sé una propensione a suscitare violenza che va ingabbiata anche con interventi estremi.

È questa lettura superficiale del fenomeno che ha fatto invocare a tanti addirittura lo stop dell?intero calcio per settimane, per un mese o per un intero anno. Un messaggio sbagliato, che ci chiediamo come sarà letto nei prossimi mesi da quei genitori tentati di portare i figli a scuola di calcio. C?è la possibilità che, recependo il messaggio ?calcio=violenza?, domani se ne astengano.
Ai fautori del calcio da punire comunque, andrebbe ricordato di soppesare l?altra faccia della medaglia, chiedendosi quanta violenza il calcio ha impedito che attecchisse nei giovani. La domanda da farsi è: quanto sarebbe stata più aggressiva e violenta la nostra società se per generazioni di ragazzi e di giovani non ci fosse stato lo sport, e anche il vituperato calcio, a consentire forme di esperienza educativa, nella squadra e nella società sportiva, le quali hanno insegnato a canalizzare l?istintiva aggressività in forme di sana competizione? L?agonismo non è forse l?espressione ?educata e controllata? dell?istinto aggressivo che in forme diverse è nel profondo di ogni individuo?

I grandi problemi del calcio vanno risolti senza misure che criminalizzano questo sport. Si tratta in fondo di fare rispettare le leggi che già ci sono, senza andare a caccia di provvedimenti eccezionali. Si tratta anche di cominciare a distinguere tra sport praticato e sport guardato: gli attori della violenza appartengono quasi sempre al secondo, che sono poi gli ?analfabeti? dello sport.

Ne prendessimo atto, ci accorgeremmo della necessità di ripartire non da nuovi e costosi stadi, blindati come campi di concentramento, ma dal valore sociale che assume lo ?sport per tutti?, la sua pratica, in virtù della sua funzione di mediatore delle tensioni.

Lo pretende, nell?attuale contesto sociale, il dato di una condizione giovanile che ha in sé notevoli elementi alienanti, con oltre 5 milioni di adolescenti che vivono nella solitudine e con un mal di vivere diffuso. Ricordiamoci che il teppismo da stadio è un fenomeno quasi esclusivamente giovanile, come il vandalismo o le corse della morte notturne in automobile. Sappiamo che uno dei canali che porta alla violenza, sia quella diretta contro se se stessi che contro terzi, è proprio la frustrazione. Avere la capacità di canalizzare le frustrazioni attraverso lo sport e in un circuito relazionale solido significa far sì che le potenziali risposte aggressive vengano sublimate, diventino una sorta di terapia. Dalla violenza non ci si salva con la sola repressione, ma anche e meglio con la sua trasformazione in agonismo, gioco, ideale sportivo.

Quando parliamo di ?sport per tutti?, perciò, non si faccia riferimento ad una affermazione astratta, o ad una gentile concessione che il CONI o il Ministro Melandri fa ai cittadini di questo Paese. Parlare di pratica sportiva per tutti deve essere come parlare di scuola, un?opportunità la cui fruizione è un diritto per ogni individuo e la cui promozione è un obbligo per ogni istituzione. Ciò in nome dell?importanza che ha lo sport nella crescita integrale dei ragazzi.

Intervista a Filippo Fossati, numero uno della Uisp
di Stefano Arduini

Vita: Filippo Fossati, presidente della Uisp, perché la scorsa settimana avete deciso di sospedere anche i vostri campionati, a differenza di quanto fatto da altre associazioni dello sport di base come il Csi?
Filippo Fossati: Non c?è stato alcun intento polemico. Semplicemente abbiamo aprtecipato a una reazione collettiva dopo le violenze delle ultime settimane. Per una volta lo show si è fermato. La nostra scelta ha voluto sottolineare la condivisione di questa scelta.
Vita: Non crede però di aver messo sullo stesso piano il calcio business e quello di base?
Fossati: Non potevamo far finta di niente e rinchiuderci in una nicchia che poi non si sa bene a chi si rivolga. Certo questo deve essere solo il punto di partenza di una riforma a 360 gradi.
Vita: Partendo da dove?
Fossati: Al primo posto metto lo snodo educativo. È fuori dal mondo che ragazzini di 6/7 anni vengano comprati e venduti con la facilità con cui avviene adesso. Bisogna mettere dei paletti alla selezione precoce dei talenti. Poi c?è la quesitone della gestione dei fondi dei diritti televisivi che devono venir redistribuiti anche a vantaggio del territorio che costituisce il bacino d?utenza della squadra. Quanto ai tifosi, credo che la strada giusta sia la fidelizzazione facendoli partecipare alla vita della società come per esempio avviene in Spagna con i 120mila soci del Barcellona.


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