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Lo scandalo/ Perché Pancalli ha fatto bene a bloccare il pallone: il calcio in queste mani non va da nessuna parte, di Marco Vitale

di Marco Vitale

Il 9 maggio 2005 in una lettera immaginaria, datata 2020, indirizzata al giovane presidente della Confindustria del 2020, cercavo di spiegare allo stesso perché nel 2005 l?Italia non andò a fondo, come tutti predicavano, ma si riprese, sia pur lentamente, attraverso una serie di cambiamenti strutturali. In essa, dopo avere illustrato e, dunque, previsto, la ripresa della Fiat, il licenziamento del governatore Fazio, la correzione parziale delle riforme della scuola Berlinguer – Moratti, scrivevo: «Significativa fu anche la sospensione del campionato di calcio professionisti per dieci anni. Preso atto della incapacità di questo mondo di riformarsi, della sua enorme capacità di corrompere la morale dei giovani, della sua potente forza diseducativa, del fatto che in gran parte era controllato da personaggi molto discutibili, che creava grandi spese pubbliche per sicurezza, manutenzione degli impianti, trasporti, che era dominato da insuperabili conflitti di interesse, che il controllo televisivo dello stesso era diventato quasi totalmente privato, si prese la saggia decisione di sospendere per dieci anni il campionato professionisti, dedicando invece un po? di risorse al calcio giocato dei club dilettantistici. La misura di dieci anni fu ispirata da Tacito che ricorda che quanto nell?anfiteatro di Pompei si verificò una grande rissa tra i tifosi di Pompei e quelli di Nocera in una gara di gladiatori del 59 d.C., l?anfiteatro di Pompei fu squalificato appunto per dieci anni.»

Realtà, non esagerazioni

Mentre scrivevo queste parole provocatorie, mi sembrava di esagerare. Ma quello che sta succedendo e quello che si ascolta e si legge in questi giorni, conferma che erano parole giuste, che esprimevano l?unica via d?uscita realistica. Questo calcio va sospeso a tempo indeterminato, sciolto, liquidato e rifondato su basi profondamente nuove. Non dico questo solo per l?atroce morte di Filippo Raciti ed il ferimento di altri agenti di polizia (in manifestazioni di massa, incidenti mortali possono sempre succedere). Né perché non di incidente si tratta ma di omicidio volontario realizzato nell?ambito di «un?imboscata da guerriglia organizzata». Né perché anche dopo l?assassinio di Raciti, in tante città, le squadre di ultrà hanno rilanciato i loro messaggi criminaloidi (sicché non è accettabile la lettura minimale di chi, come Garrone, parla di poche centinaia di delinquenti). Né perché ha ragione il sindaco di Catania quando parla di fenomeni degenerativi che vanno oltre il calcio ed oltre il disagio delle periferie («Vuol dire che questo non è più un fatto che riguarda quattro scalmanati, non è più la guerra degli ultrà alle società calcistiche che non cedono ai ricatti o alle forze dell?ordine che sono il nemico giurato. Vuol dire che c?è un malessere più grave e generalizzato?. Su questo dobbiamo riflettere e darci subito da fare»).

Le responsabilità dei ?padroni?

Più di tutto ciò, che questo calcio vada sospeso, liquidato e rifondato, lo dimostrano gli atteggiamenti e le parole dei ?padroni? del calcio che sono, se possibile, un segnale persino peggiore della guerriglia urbana programmata degli ultrà di Catania. Non sono io a chiederlo, sono loro, con le loro parole ed i loro atteggiamenti, a richiedere la fine di questo calcio. Ancora una volta essi hanno dato la dimostrazione quasi matematica che con il calcio in queste mani non si va da nessuna parte. Non ho atteso il morto, né Calciopoli per scrivere queste cose. Le scrivo da anni sulla base di analisi molto serie della degenerazione morale, dirigenziale, economica, finanziaria, di questo folle mondo. Non sono bastate le crisi finanziarie drammatiche di tante società e la ricerca affannosa di aiuti di Stato e di trucchi contabili di sopravvivenza, per indurli a un minimo di riflessione autocritica. Non è bastato l?intervento della UE prima a gamba tesa e poi addolcito. Non è bastato il verminaio di Calciopoli esorcizzato da una giustizia sportiva scandalosa. Non è bastata la continua diminuzione degli spettatori in atto. Non è bastato essersi ridotti a dei campionati scombussolati senza interesse, senza passione, senza gioia ma solo con la violenza.

Per risposta, solo arroganza

Mai un pensiero autocritico, mai uno sforzo di autoregolamentazione, mai un atto di umiltà, mai un gesto di collaborazione con gli enti responsabili per conto della collettività del buon funzionamento dello sport. Sempre e solo arroganza, supponenza e irresponsabilità. Loro, gli assassini del calcio, loro i mandanti morali (e qualche volta, si dice, pratici) degli ultrà, loro neanche di fronte alla tragedia di Catania hanno dato un segnale di resipiscenza, loro la testimonianza vivente della verità delle parole di Leopold von Roepke: «Non è cecità, non è ignoranza quella che manda alla rovina uomini e Stati. Non a lungo resta loro celato dove li condurrà la strada imboccata. Ma in essi è un impulso, favorito dalla loro natura, rafforzato dall?abitudine, cui non si oppongono e che li trascina in avanti, finché possiedono ancora un residuo di vita? I più vedono la propria rovina di fronte a sé, eppure vi si gettano a capofitto».

Matarrese, che vergogna

L?intervista del presidente Antonio Matarrese è una offesa non solo al sentimento civile e morale del Paese, ma anche alla sua intelligenza.

Dice che il calcio deve fare come la Fiat. Ed allora ci vuole qualcuno che gli spieghi che (senza addentrarci nell?argomento che il paragone è del tutto improponibile) la Fiat si è ripresa perché ha cambiato totalmente la classe dirigente; ha cancellato le abitudini regali e imperiali ma ha ricominciato, con grande umiltà, a fare buone automobili; ha rinnovato la gamma prodotti; ha risanato le finanze vendendo tanti gioielli e non barcamenandosi tra aiuti di Stato e trucchi di bilancio; ha cambiato profondamente strategia assumendo la linea della verità, con acutezza, trasparenza, serietà, affidabilità; si è data un management e una governance in sintonia con i tempi. Tra la Fiat prima della crisi e dopo la crisi non vi è quasi più relazione.Dice che i club non possono fare le spese richieste dal decreto Pisanu perché non ci sono i soldi. Ma i soldi ci sono per pagare ai giocatori, agli allenatori, agli agenti, ai trafficanti e traffichini, a tutta la corte di nani e ballerini che sul calcio prosperano, compensi e commissioni assurde. è questo il punto che sottolinea anche il Financial Times evidenziando in uno stelloncino che «The clubs prefer to spend large sums on footballers and much less on security in the stadiums». E chi ha condotto il calcio in queste condizioni finanziarie se non loro, gli assassini del calcio? E a chi toccherebbe di risanarlo se non a chi guida i club e il calcio nel suo insieme? O ci deve pensare lo Stato?

Un?industria oltraggiosa

Dice che il calcio è un?industria tra le più importanti d?Italia e che ha bisogno di continuare ad operare. Ed allora bisogna che ci sia qualcuno che gli spieghi che bisogna decidersi se il calcio è uno sport o un?industria. Non si può giocare una volta una partita e un?altra una partita diversa, a seconda delle proprie comodità. Perché se è uno sport, l?ampia sfera di autoregolamentazione (che anche recentemente è stata rivendicata con toni persino oltraggiosi nei confronti della Federazione, del Coni e con offese personali nei confronti del commissario del calcio) può essere, entro certi limiti, giustificata. Se è un?industria, tale autonomia è totalmente infondata. E ci vuole anche qualcuno che gli spieghi che un?industria, che assorbe continuamente risorse invece che contribuire con prodotti, servizi e valori utili e positivi, così come un?industria che inquina il territorio e l?ambiente, per quanto importante sia, non ha nessun «diritto di continuare ad operare», ma va fermata prima che i suoi danni diventino irreversibili.

L?Inghilterra non è un altro mondo

Dice che le misure che in Inghilterra hanno bloccato e smontato il movimento degli ultrà non sono un esempio percorribile, perché «quello è un altro mondo». Ed allora bisogna che qualcuno gli spieghi che l?Inghilterra è Europa, il continente al quale anche noi ci sforziamo di appartenere.

Abbiamo scritto tante volte – non da ?esaltati? né da ?irresponsabili? ma da amanti del calcio e da persone profondamente consapevoli della sua importanza sociale, culturale, economica – che questo calcio va profondamente riformato. A lungo ho nutrito la speranza che potesse essere riformato con la guida dei gestori dello stesso, od almeno dei migliori di essi. È una speranza che si è andata via via attenuando e che, in questi giorni, si è definitivamente spenta. Oramai solo il governo e la legge possono operare. I padroni del calcio sono manifestamente incapaci di collaborare alcunché al risanamento. Quanto più responsabile la posizione di Sergio Campana, segretario dell?Associazione calciatori, che si è dichiarato disponibile a una sospensione di un anno, per ricostruire. Anche lui un ?esaltato? e un ?irresponsabile??

Che fare?

  • A breve subordinare la ripresa dei campionati ad un decreto d?urgenza che contenga tutte le misure di sicurezza e sanzionatorie (non patteggiabili) che gli esperti di sicurezza pubblica suggeriranno e che siano praticamente applicabili.
  • Contestualmente portare in porto rapidamente una riforma totale dell?ordinamento del calcio sulla base di una legge organica del calcio, che faccia tesoro dell?ormai ricco materiale d?analisi e propositivo esistente non solo in Italia ma in Europa.

Come dico da anni, questa riforma, per essere seria, dovrà toccare anche l?assetto proprietario e di governance dei club. La maggior parte di loro, infatti, non sono degni neanche di essere ?padroni?.

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