Economia

La terapia sociale fa bene. Diamole più spazio

Esperienze di successo sul territorio, soprattutto nella collaborazione con i centri diurni. Che si scontrano, però, con una diffusa resistenza culturale a dare spazio al sociale nel settore.

di Redazione

In Italia solo una cooperativa su dieci lavora nel campo della psichiatria e nemmeno la metà riesce a programmare percorsi di reinserimento lavorativo dell?utente. Il nostro paese sembra ancora restìo ad investire sull?aspetto sociale della terapia psichiatrica e si assottiglia sempre di più lo spazio per la cooperazione sociale, spesso costretta a finanziare di tasca propria progetti di intervento extra ospedaliero. Per il resto, e cioè per le cure strettamente sanitarie, il Fondo sanitario nazionale ha previsto invece una quota del 5%, che però solo poche Regioni in Italia riescono a utilizzare per intero. Un panorama non esaltante. Almeno secondo Alberto Leoni che, con il consorzio Sol.co, sta cercando di introdurre la cooperazione sociale nel complesso mondo della psichiatria. «In Italia c?è una grande differenza tra Nord e Sud per quanto riguarda l?utilizzo del fondo e per la reale programmazione di interventi pianificati coinvolgendo la società civile. Per di più le poche Regioni che impiegano interamente quel 5%, come quelle del Nord, si preoccupano esclusivamente di incentivare le cure sanitarie a scapito di tutto quello che riguarda il sociale. In poche parole quello che accade è che o la cooperazione si mette in testa di sostituire semplicemente il ruolo del sistema sanitario – e allora accede facilmente ai finanziamenti – oppure se punta sulla riabilitazione sociale è meglio che metta mano esclusivamente alle proprie finanze. Per questo sono sempre di meno le cooperative che lavorano nel campo della psichiatria». Resistenze In questi anni lo stesso consorzio è stato il chiaro esempio della difficoltà di investire sull?innovazione. Il progetto sperimentale Dopo di noi, che ha messo a disposizione 30 appartamenti ad altrettanti utenti con l?intento di restituire loro una vita normale, è stato interamente finanziato dalle cooperative impegnate nell?iniziativa. In alternativa, «si può sempre fare affidamento sugli appalti», continua Leoni, «ma sappiamo che spesso si indicono gare al ribasso, compromettendo ovviamente la qualità del servizio». Insomma, l?Italia sembra ancora lontana dall?applicare quelle teorie che hanno fatto della legge Basaglia un vero manifesto per una nuova psichiatria. Il fatto è che «nel nostro paese persiste l?opinione che la malattia mentale vada affrontata dal punto di vista farmacologico. Sembrano resistere alcuni retaggi della cultura manicomiale e non si riesce ancora a capire che la sanità ha bisogno dell?aiuto del sociale», dice Loretta Giuntoli, presidente del consorzio di cooperative Astir. Sul territorio Eppure la cooperazione sociale, negli anni, ha costruito le basi per rivoluzionare il modo di pensare la cura della malattia mentale. La creazione di diverse comunità terapeutiche di reinserimento sociale e l?aiuto fondamentale ai centri diurni hanno dimostrato che le teorie basagliane possono essere applicate efficacemente migliorando la condizione degli utenti (vedi box). È da qui, dall?azione sul territorio, che secondo Paolo Bongianni, presidente della cooperativa Di Vittorio, si può avviare una nuova stagione della psichiatria italiana. «Bisogna continuare nello sviluppo di un processo di coinvolgimento delle cooperative per la gestione territoriale dei servizi. Investire sulla filiera produttiva, valorizzando l?apporto delle cooperative di tipo B nel potenziamento dei percorsi di riabilitazione sociale, sono obiettivi fondamentali da perseguire anche con una legislazione più chiara che definisca lo spazio di azione». Per quanto riguarda i finanziamenti, invece, la Giuntoli è più esplicita: «Ci vorrebbe un vero e proprio fondo regionale creato appositamente per gli interventi di assistenza sociale. Si potrebbero reperire le risorse pescando qualcosa dalla quota prevista dall?Fsn, ma soprattutto dagli altri soggetti economici presenti sul territorio. Mi riferisco per esempio alle fondazioni. Ma questo deve partire da noi, dalle cooperative, che devono superare la dinamica distorta dell?appalto per puntare, invece, su una nuova cultura imprenditoriale capace di fare del vero fund raising». Ma alla base ci deve essere una seria politica di programmazione, «solo così si possono sostenere progetti di assistenza socio-sanitaria che non rubino spazio al servizio pubblico, che deve mantenere un ruolo egemone, ma permettano la possibilità alla cooperative di organizzare interventi innovativi che possano dare quel valore aggiunto che Basaglia vedeva nella riappropriazione della propria vita da parte dell?utente. Insomma, noi dobbiamo svincolarci dalla semplice sostituzione del servizio pubblico. Non siamo fatti per questo e non vogliamo un welfare del genere». Di Luca zanfei


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