Welfare

Strategia in cinque mosse per uscire dall’emergenza

Individuare e valorizzare le buone pratiche. Dare impulso alla cosiddetta “giustizia riparativa”. Puntare sulla formazione della polizia penitenziaria.

di Stefano Arduini

Poche idee, ma ben chiare. Nessun cahier de doléances o volo pindarico. Luci accese esclusivamente sulle proposte reali. La cooperazione sociale impegnata in carcere consegna al Parlamento che si formerà dopo il 9 aprile un pacchetto in cinque punti che difficilmente potrà venir liquidato come astratto o irrealizzabile. Primo principio: non disperdere le esperienze che, fino ad oggi, seppur in piccolo, hanno realizzato buoni risultati. Come? «Individuando lungo tutto lo Stivale le best practice regionali», non esita a dire Gianni Pizzera, responsabile del progetto Cooperazione sociale e giustizia di Cgm. In questa ottica Lombardia e Lazio costituiscono due stelle polari. «Il Pirellone per il biennio 2005/06 ha stanziato 3 milioni di euro per finanziare un centinaio di progetti che, oltre a dare lavoro a detenuti ed ex detenuti, forniranno un servizio di orientamento professionale». Meno rilevante il finanziamento laziale, 300mila euro: «mi auguro che altre amministrazioni locali seguano questi esempi, anche perché il lavoro dei detenuti può contribuire a valorizzare la tipicità dei prodotti locali». È il caso, fra gli altri, di due cooperative targate Cgm che a San Gimignano e a Siracusa producono e vendono zafferano purissimo e tipici pasticcini siciliani. La cooperazione sociale però non può rimanere isolata in questa battaglia: «La disponibilità concreta del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e quindi del ministero di Giustizia è imprescindibile». Alleggerire il sistema Da via Arenula sono attesi però altri input. Carlo Alberto Romano, docente di Criminologia all?università di Brescia, numero uno della cooperativa sociale Exodus e dell?associazione Carcere e territorio, con un passato da magistrato di sorveglianza, si aspetta «un deciso impulso alla cosiddetta ?giustizia riparativa? sul modello di quanto avviene nel minorile». Obiettivo: alleggerire un sistema che oggi vede 60mila soggetti in carcere (un terzo oltre i termini prescritti dalla legge) e solo 49mila persone in esecuzione penale esterna. «La lettera di scuse e la mediazione penale sono due strumenti che dovrebbero essere applicati almeno a quel 30% di condannati che hanno da scontare una pena residua di 12 mesi o inferiore a un anno», propone Romano. Pizzera da parte sua mette l?accento su un altro nodo da sciogliere: la formazione della polizia penitenziaria. «La proposta è di creare dei gruppi operativi mobili incaricati di seguire le lavorazioni dei detenuti in modo da poter contare su agenti in grado di garantire la sicurezza senza per questo penalizzare la qualità del lavoro dei reclusi». Proprio le strette maglie dell?apparato di sorveglianza costituiscono infatti un disincentivo per le aziende che volessero affidare commesse alle cooperative di detenuti: «Adesso siamo costretti a una tempistica decisamente anti imprenditoriale», conferma Pizzera. Problemi e soluzioni Purtroppo le zavorre per chi vorrebbe ridare fiato al sistema sono all?ordine del giorno. L?esperienza di Romano insegna: «Spesso i magistrati di sorveglianza non concedono le misure alternative anche per pene inferiori ai due anni perché non si fidano della presa in carico da parte di associazioni di volontariato o delle cooperative sociali». Messo a fuoco il problema, ecco la soluzione. In questo caso le ricette di Romano e di Giuseppe D?Agostino, della cooperativa romana 29 Giugno aderente a Legacoop, sono davvero vicine. Per il criminologo «è necessario rendere più solido il rapporto fra l?amministrazione e il volontariato territoriale perché dal punto di vista educativo una persona e quindi la comunità guadagna molto di più da un?esperienza in una comunità di minori o di cura del verde piuttosto che trascorrere sei mesi dietro le sbarre». D?Agostino si spinge più in là: «Credo che si potrebbe pensare a una formula più istituzionalizzata, come una forma di accreditamento presso il Dap, in modo da sollevare il Tribunale di sorveglianza dalla responsabilità di rimettere all?aria aperta una persona potenzialmente pericolosa». Sul taccuino della 29 Giugno però è evidenziato un altro suggerimento. «In Lazio stiamo sperimentando un progetto pilota sostenuto dal Garante regionale dei detenuti e dal Dap che prevede un passaggio di consegne della gestione delle mense dall?amministrazione penitenziaria alle cooperative sociali. Le realtà più piccole, però, spesso sono costrette a chiamarsi fuori perché non sono in grado di sostenere i costi di approvvigionamento alimentare. Uno scoglio da superare abbassando l?Iva su queste attività dal 20 al 4%». L?ultimo punto all?ordine del giorno è il rinnovamento della legge Smuraglia (vedi box). «La mia proposta», conclude Pizzera, «prevede l?estenzione delle agevolazioni fiscali non solo alle cooperative che assumono carcerati, ma anche a chi lavora con ex detenuti, almeno per i primi 6 mesi di libertà».


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