Cultura

Quota quattromilioni

I numeri innanzitutto. Numeri che si moltiplicano a vista d’occhio, nel contesto di un paese che da anni scodella solo statistiche stagnanti. Di Giuseppe Frangi e Daniela Verlicchi

di Giuseppe Frangi

I numeri innanzitutto. Numeri che si moltiplicano a vista d?occhio, nel contesto di un paese che da anni scodella solo statistiche stagnanti. Lunedì 27 l?Ismu ne presenta una fotografia significativa, relativa al 1° luglio 2005: 3.356.600 gli stranieri extracomunitari presenti in Italia, cioè il 5,7 % della popolazione complessiva. Di questi, 2.817.600 sono quelli regolari: 940mila in più rispetto alla stessa data di due anni prima. Il ritmo di incremento annuo è del 24,4%. «Il che significa raddoppio nell?arco di quattro anni», sottolinea Gian Carlo Blangiardo, uno degli autori della ricerca, tra i maggiori demografi italiani. Ancor più impressionate il trend delle rimesse, che dal 2000 al 2004, secondo le cifre dell?Ufficio Cambi, sarebbe passato da 749 milioni di euro a 2.093. «Una crescita di simili proporzioni è spiegabile con l?uscita dall?economia sommersa di oltre 600mila extracomunitari nel 2002 e con la rigidità della Bossi-Fini in materia di ricongiungimenti familiari», spiega il presidente dell?Ismu Vincenzo Cesareo nella relazione che accompagna il ?film? dei numeri. Nella classifica mondiale delle rimesse l?Italia è al settimo posto, ormai vicina a Francia, Svizzera e Belgio.

Flussi con stupore
Avendo presenti questi trend si può in parte spiegare quel che è accaduto martedì 14 davanti agli uffici postali italiani. In poco più di due ore sono piovute agli sportelli ben 481mila offerte di lavoro, tutte abbinate al nome di uno straniero pronto a mettere piede nel nostro paese. O meglio, pronto a uscire dall?irregolarità. «Sinceramente è un numero che ha superato ogni nostra aspettativa», ammette Franco Pittau, responsabile della Caritas per i migranti e tra gli autori del Rapporto sugli indici di integrazione (presentato al Cnel mercoledì 22). «Quando il ministero degli Interni ci chiamò per una consultazione in vista del decreto flussi, avanzammo una cifra di 200mila. Il governo poi decise per 170mila. Facevamo i conti sull?esperienza dello scorso anno, quando alla fine risultarono 240 mila domande di regolarizzazione. Ma un raddoppio, chi lo poteva immaginare?».
Già. Ma adesso, a fatti accaduti, che spiegazioni si possono dare? Pittau dice che c?è una sottovalutazione del nostro deficit demografico: «Non lo prendiamo sufficientemente sul serio. La crescita della popolazione anziana moltiplica per esempio la domanda di assistenza. Il fabbisogno è più alto di quanto previsto».

Alla fine le quote restano quelle. E solo 170mila avranno vinto la lotteria della regolarizzazione. E gli altri 310mila? Pittau non si fa illusioni. «Bisogna ragionare e agire con concretezza. Accogliere uno straniero vuol dire disporre di servizi adeguati. Non basta farlo entrare, anche se c?è chi gli dà un lavoro».

Tornare agli sponsor?
Riepiloghiamo: in Italia martedì 14 c?erano 481mila offerte di lavoro destinate a persone che avrebbero dovuto essere nei loro paesi. Questo sulla carta. Nella realtà quelle persone erano già tutte nel nostro paese, pronte, in caso di successo, a tornare in patria e a presentarsi al consolato italiano. Pronte, in caso di insuccesso, a continuare a lavorare, in nero, come prima. «Il sistema attuale è irrealistico», attacca Ennio Codini, docente di Diritto pubblico alla Cattolica di Milano e attento osservatore del fenomeno. «Il lavoro lo si perde e lo si ritrova. Per cui il requisito vero da tener presente è quello dell?occupabilità. Ogni anno nel nostro paese entrano circa 100mila persone, che trovano il lavoro». Codini, per spiegarsi, racconta un episodio accadutogli qualche tempo fa. Un collega canadese che gli chiedeva conto del sistema italiano dei flussi, arrivò a questa conclusione: «Evidentemente vi è rimasto dentro un residuo di mentalità comunista: volete pianificare. 170mila posti ipotizzati, 170mila ingressi». E lei cosa gli ha risposto? Codini: «Che non aveva del tutto torto». E l?alternativa quale potrebbe essere? Codini: «Tenere il meccanismo delle quote, perché quello ce l?ha tutto il mondo. Ma per esempio selezionare i requisiti all?ingresso. è più importante avere i requisiti, piuttosto che avere già un lavoro. Ecco perché mi rifaccio al criterio di ?occupabilità?».

Per questo da più parti si rilancia la figura dello sponsor, così com?era nella Turco-Napolitano e com?è previsto nel programma dell?Unione. Una figura di mediazione che garantisce per l?immigrato in attesa del collocamento nel mondo del lavoro. «è stata buttata a mare, con l?idea che troppi mascalzoni ne approfittavano», incalza Pittau. Più cauto Codini: «L?idea era buona e va ripresa. Ma bisogna prestare più attenzione agli abusi, selezionando meglio gli sponsor. Lo sponsor comunque ha il pregio di valorizzare le reti».

Altrimenti c?è la via percorsa da altri paesi europei, come ricorda Laura Zanfrini, dell?ufficio Lavoro dell?Ismu: quella della regolarizzazione personale. «Se un irregolare si presenta a un sportello dell?ufficio Immigrazione con un datore di lavoro disposto ad assumerlo, può uscire dalla condizione di irregolarità. Secondo molti studiosi è un buon antidoto al lavoro nero».

La provenienza
L?altra grande novità di questi anni è l?evoluzione delle nazionalità più presenti nel nostro paese. «L?Est europeo ha una posizione sempre più predominante», spiega Blangiardo. Tra le prime quattro provenienze ci sono Albania, Romania e Ucraina. Con l?inserimento del Marocco al terzo posto. «Sono in netto declino il Sud America e le Filippine», aggiunge Codini. E il motivo sta anche nel meccanismo di regolarizzazione: «Troppo caro un viaggio di ritorno al paese per presentarsi là al consolato e riemergere dalla clandestinità». Ma la prevalenza dell?Est ha anche un valore importante che Blangiardo sottolinea: «Sono popolazioni più facili a integrarsi. Spesso hanno livelli di preparazione più alta e non hanno problemi di conflitti identitari». Questo spiega perché l?Italia abbia assorbito tutto sommato senza troppe lacerazioni un più 24% annuo di immigrati sul nostro teritorio.

La legge che verrà
Della Bossi-Fini si è detto ogni male. Ha fatto emergere in tre anni quasi un milione di irregolari, ma da una parte sembra sopravanzata da un fenomeno che Pittau non esita e definire «imponente». Dall?altra è lesiva dei diritti minimi di chi arriva in condizione di clandestinità. Il calo degli sbarchi sulle nostre coste viene confermato dai dati dell?Ismu: nel 2004 – ultimo anno con dati completi – sono stati poco più di 13mila e quasi tutti concentrati in Sicilia. «La legge va cambiata, ma evitiamo scontri ideologici», si raccomanda preventivamente Pittau. «Invece ci vuole molta concretezza». Ad esempio sul fronte ricongiungimenti. Come suggerisce Mohamed Saady, copresidente della Cisl Immigrati: «L?integrazione parte da qui. Se un immigrato ha vicino a sé la famiglia si inserisce molto più facilmente nel tessuto sociale». Complemente d?accordo Codini: «Abbiamo tutti interesse che le presenze si stabilizzino. E spesso le rigidità sono amministrative. Per esempio si dice che per un ricongiungimento la casa deve obbedire ai requisiti dell?edilizia residenziale pubblica. Ma sono standard ottimali a cui neppure gran parte degli italiani riesce a ottemperare. Basta che alla casa manchi qualche centimetro, e il ricongiungimento viene bloccato a livello amministrativo. Un alloggio invece può esser dignitoso anche se è un po? sotto lo standard. Un principio giusto – quello di non creare ghetti – si trasforma per rigidità in un boomerang.

Imprenditori
Nel 2005 le imprese individuali avviate da extracomunitari sono aumentae del 15,4%, ha certificato Unioncamere. è un?altra faccia del boom. Ma tra queste imprese mancano quelle che avrebbero potuto nascere da chi si è regolarizzato con la Bossi-Fini nel 2002. Infatti per una delle tante stranezze italiane il loro permesso deve essere rinnovato ogni anno ed è vincolato all?essere dipendenti. «Invece per le badanti sarebbe importante che avessero facilitazioni a costituirsi in cooperative», suggerisce Pittau. «Ci vorrebbero agevolazioni fiscali. Così si riduce il rischio di precarietà e di ricaduta nell?irregolarità». Gli vien dietro convinto Codini: «Quel passaggio della Bossi Fini era frutto di un compromesso. Oggi è un anacronismo che tocca migliaia e migliaia di persone. E le lascia sul ciglio della precarietà. Eppure con un po? di buon senso e meno rigidità anche questa assurdità potrebbe essere risolta».
E’ solo un esempio. Cambiando poco, nella realtà si cambia molto.

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