Volontariato

Le due Parigi

Da una parte gli studenti in corteo contro il contratto di primo impiego. Dall’altra i giovani che nel novembre scorso hanno incendiato la periferia. Cos’hanno in comune questi due mondi?

di Joshua Massarenti

«Se vuoi entrare in contatto con i giovani delle cité, l?asfalto te lo devi mangiare». Sono quasi le tredici e sento ancora il freddo glaciale che mi penetra nelle ossa. In attesa di Daniel, inganno il tempo inventandomi frasi ad effetto per il reportage che sto compiendo sui giovani delle banlieue e il mondo associativo. Avevo scelto Saint Denis un po? per caso, si è rivelata una fortuna. Il paesaggio urbano di questa città operaia nell?orbita di Parigi, fatto di dormitori, enormi parallelepipedi spacciati negli anni 60 come esempi di architettura d?avanguardia, ha conosciuto una vera rivoluzione alla fine degli anni 90. Eravamo alla vigilia dei Mondiali di calcio del 98. Per i dionisiani (gli abitanti di Saint Denis), la costruzione dello Stade de France era una benedizione dello Stato. Benedizione laica, beninteso, da cui sarebbe giunta una pioggia di denaro pubblico. Un modo per volgere definitivamente le spalle all?era industriale ed entrare a pieno titolo in quella del terziario.

Tante imprese, tanti disoccupati
Qualcosa non gira per il verso giusto
A quasi dieci anni di distanza, mi ritrovo a fare i conti con una periferia urbana invasa da multinazionali e piccole e medie imprese ben felici di impiantarsi su terreni poco costosi, ma con una disoccupazione giovanile che sfonda il tetto del 30%. «Qualcosa non gira per il verso giusto», mi aveva suggerito Patrick Vassallo, il responsabile di Objectif Emploi, una delle tante associazioni paramunicipali messe in piedi dalla giunta comunista di Saint-Denis per fronteggiare l?emergenza lavoro. Di lì a poco avrei capito che la disoccupazione giovanile nasconde aspetti molteplici, uno più preoccupante dell?altro. E a rivelarmelo sarebbero stati ragazzi svegli, pieni di vita, ma schiacciati da un disagio sociale del quale non intravvedono vie d?uscita. A Parigi li chiamano i jeunes banlieusards (i giovani delle periferie), un termine dispregiativo per definire la gioventù esclusa dal centro. La stessa che nel novembre scorso ha dato il via a una scia impressionante di violenze urbane riprese dai media di mezzo mondo. Non sono passati neanche cinque mesi e al disagio giovanile periferico si è accavallata la protesta del mondo studentesco contro il contratto di primo impiego (Cpe) voluto dal primo ministro De Villepin.

Daniel e gli altri
Appuntamento nella hall
La facoltà di Saint-Denis è un centro simbolico della lotta anti Cpe, dentro una città miracolosamente scampata alle violenze autunnali. Nella hall d?ingresso, il via vai degli studenti è frenetico. Sui muri campeggiano appelli generici per una lotta senza tregua alla riforma di De Villepin. «Non au Cpe!», «Contrats premières emmerdes!» sono gli slogan più ricorrenti di una mobilitazione che si vuole forte, confortata dal successo della manifestazione del 18 marzo scorso.
Nel trambusto c?è chi nutre ben altre preoccupazioni. Dall?alto dei suoi 33 anni, Daniel Brayer non ha nulla da temere da un contratto riservato a giovani con età inferiore ai 26 anni e in cui si paventa un licenziamento senza giusta causa nei primi due anni di prova. Fresco di divorzio con una ragazza che gli ha regalato «due meraviglie», Daniel è disoccupato a tempo pieno. Almeno ufficialmente. Perché dopo anni passati «a servire i padroni e accumulare frustrazioni, negli ultimi mesi mi sono scoperto una nuova vocazione: la comunicazione sociale». Nel contesto delle banlieue, significa «comunicare a chi non conosce il nostro mondo una realtà diversa da quella descritta dai massmedia». Daniel mi presenta alcuni membri che compongono l?associazione Hyper-Cut di cui è presidente. C?è Abdel, la mente del gruppo; poi Karim, animatore sociale per diletto, indispensabile per coinvolgere i ragazzi della Cité Allende in un progetto che sta facendo molto discutere a Saint-Denis.

L?associazione Hyper-Cut
Non siamo angeli, però…
«È piuttosto raro vedere sbarcare un giornalista in tempi morti. A dire il vero, i tuoi colleghi francesi girano da queste parti soltanto quando bruciano le macchine e i negozi sono devastati». Eppure, i ragazzi che ho di fronte a me non hanno nulla in comune con i tanto temuti casseur. «A Parigi, la gente ha un sacco di preconcetti. Certo, non siamo degli angeli. Come tutti, anche noi abbiamo fatto cazzate. Ma dimmi un po?, chi tra i giovani della nostra generazione non ha mai fumato uno spinello? Chi non ha provato rancore contro la polizia? Nessuno, ecco la risposta». A Karim si potrebbero obiettare le violenze del novembre scorso, ma l?analisi non fa una piega. Per una pelle troppo scura, un profilo sociale «fuori norma», un accento ritenuto eccessivamente mediterraneo, o più semplicemente per il fatto di vivere in una banlieue, la vita dei ragazzi di Hyper-Cut è costellata da episodi di discriminazione razziale e territoriale che ne hanno segnato il destino.
«Se a questo aggiungi le provocazioni dell?attuale classe dirigente, allora il quadro della situazione ti dovrebbe risultare chiaro». Chiaro? Non proprio. «Allora partiamo dalla ragione che ci ha spinto a fondare Hyper-Cut». Daniel è un fiume in piena. «Nel marzo 2003, l?attuale ministro dell?Interno, Nicolas Sarkozy ha fatto passare una legge che vietava il raggruppamento di persone nelle hall delle nostre cités. Ora, per i giovani, le hall sono il luogo di aggregazione sociale per eccellenza». «Di più», sottolinea Abdel, «è un luogo di regolazione sociale. Perché in mancanza di spazi, è lì che il condominio risolve i suoi problemi». A quasi due anni di distanza, Abdel, Karim e Daniel decidono di sfidare Sarkozy. Nell?indifferenza del Comune di Saint-Denis, sono bastati una telecamera, l?appoggio di due associazioni ben radicate nella realtà giovanile di Saint-Denis e tanta volontà per convincere i giovani della Cité Allende a girare qualche filmato, per raccontare a modo loro la realtà che vivono.

La storia di Reda
Etichette, percorsi e ghettizzazioni
«L?obiettivo di toglierci di dosso un?etichetta negativa mi ha convinto», riconosce il ventiquattrenne Reda. La sua è una storia come tante altre, raccontata con piglio provocatorio e che il baccano assordante di un corteo spontaneo all?interno della facoltà non riesce a soffocare. «Il mio percorso scolastico si è fermato in quinta media. Avevo quindici anni. Non ero un allievo modello, ma al liceo professionale gli orientatori mi hanno avviato sull?indirizzo sbagliato. Facendo il contabile, troverai lavoro, continuavano a ripetermi. Io invece volevo fare meccanica. Ho frequentato corsi di contabilità per tre mesi, poi ho mollato tutto. Oggi provo rimorsi, ma guarda caso, nei licei professionali ci vanno soltanto ragazzi disagiati delle cités. Il sistema francese è un sistema programmato scientemente per ghettizzarci e reprimerci». Oggi, il suo orizzonte sociale non supera le quattro mura che compongono la sua hall. «Poco tempo fa, sono andato a cercare lavoro su Parigi perché le agenzie interinali di Saint-Denis non mi hanno rivolto nessuna proposta, dico una proposta di lavoro! Bene, sul boulevard Clichy sono stato fermato dalla polizia per un controllo d?identità. E sai cosa mi hanno detto? Tu il lavoro te lo devi cercare nel tuo buco, non a Parigi. Che me ne importa a me del Cpe?»

Due mondi a confronto
Il Cpe? Sempre meglio di niente
Proprio dalla capitale gli studenti si stanno mobilitando su questioni che dovrebbero interpellare Reda. Ma lui non si scompone: «Il Cpe? Tra noi non ne parliamo, ma è meglio di niente. Anche se a dire il vero, preferirei un contratto a tempo indeterminato. È l?unico modo per andare in affitto o comprare una casa. In questo, capisco gli studenti, ma tra noi e loro c?è un abisso». Daniel ha potuto toccare con mano la distanza che separa il suo mondo dal movimento studentesco. «La scorsa settimana abbiamo partecipato a programmi radiofonici organizzati da alcuni ex studenti della facoltà Saint-Denis». Con trasmissioni dedicate ai problemi dei giovani delle banlieue, «siamo riusciti a fare passare il nostro messaggio senza manipolazioni di alcun genere. È stato un successo, anche se le differenze di vedute erano evidenti. A loro premeva parlare di Cpe, di islam radicale, di conflitto israelo-palestinese, di velo, mentre i ragazzi di Allende affrontavano i problemi della disoccupazione, della discriminazione, della droga, del carcere, della difficoltà di accedere nelle discoteche parigine». Quando si dice che la precarietà accomuna tutti…

Da Parigi, Joshua Massarenti

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