Mondo
Iraq: appello delle ong che vi operano
Preoccupazione per l'aggravarsi della crisi umanitaria e richiesta alla comunità internazionale a trovare una soluzione diplomatica
Save the Children, Care International, Christian Aid, CAFOD, Tearfund, Help Age International, Islamic Relief e 4Rs, tutte ong che operano in Iraq hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui esprimono le proprie preoccupazioni per l’aggravarsi della crisi umanitaria nel Paese, soprattutto se verrà attuata la minaccia di una nuova guerra, e si appellanno alla comunità internazionale perché si impegni a una soluzione diplomatica della crisi in atto. Ecco il testo della dichiarazione:
Noi, organizzazioni non governative operanti sul territorio iracheno, temiamo che una nuova guerra in Iraq rischi di aggravare e di estendere la crisi umanitaria in corso provocando un vasto numero di perdite civili ed aumentando le sofferenze della popolazione. Le nostre preoccupazioni derivano dai seguenti motivi:
– Esiste un?elevata possibilità di un vasto numero di vittime civili. Ai bombardamenti aerei seguirà sicuramente una guerra di terra, inevitabile per il raggiungimento di quel ?cambio di regime? più volte auspicato da alcune grandi potenze. Ciò metterebbe in grave pericolo un vasto numero di civili, soprattutto nelle aree urbane densamente popolate.
– Anni di guerre e sanzioni hanno già reso estremamente vulnerabile la popolazione irachena che difficilmente resisterebbe a un?altra prova di forza. Questo vale soprattutto per i bambini (che costituiscono quasi la metà della popolazione irachena), gli anziani, le vedove e i poveri. La mortalità infantile è cresciuta del 160 per cento a causa delle sanzioni. Secondo l?UNICEF, ?se la sostanziale diminuzione della mortalità infantile durante gli anni Ottanta fosse proseguita negli anni Novanta, ci sarebbero state 500mila morti in meno tra i bambini sotto i 5 anni di quante se ne sono verificate tra il 1991 e il 1998?. (UNICEF, 1999).
– Un conflitto vasto e prolungato rischia di mettere in pericolo gli approvvigionamenti di cibo e medicine per i civili iracheni. Le popolazioni di etnia curda nel Nord e quelle del Centro Sud sopravvivono grazie a razioni mensili di cibo stanziate dal programma Oil for Food. Queste derrate scadono in media dopo sole tre settimane. Se venissero bloccate da un?emergenza, gli stipendi locali (dai 2 ai 6 dollari al mese) non basterebbero a comprare cibo nei mercati locali. Il 30 per cento dei bambini è già cronicamente malnutrito (UNICEF, 2002). Se la guerra dovesse durare a lungo, crescerebbe il rischio di una distruzione totale dei mercati locali.
– Un conflitto esteso e prolungato potrebbe minacciare le infrastrutture chiave. Molti iracheni hanno a disposizione acqua di pessima qualità. Questa è la prima causa di morte dei bambini. Se gli impianti di estrazione e depurazione venissero danneggiati dalla guerra, i rischi di danni alla salute crescerebbero in modo esponenziale. Gli impianti elettrici, fondamentali per il funzionamento di acquedotti e ospedali, potrebbero essere obiettivi militari, come già accaduto durante la Guerra del Golfo.
– L?Iraq ha già almeno 700.000 profughi interni. La guerra potrebbe provocare ulteriori esodi della popolazione, soprattutto se dovessero verificarsi blocchi ai rifornimenti alimentari. I confini del Paese sono minati in modo massiccio. Questo rappresenta una minaccia per chi fugge dalla guerra e un ostacolo enorme per chi cerca di portare aiuti dall?esterno. Un?eventuale campagna d?inverno provocherebbe ulteriori problemi, perché il Paese potrebbe essere innevato a lungo
– Il conflitto ha implicazioni umanitarie molto ampie. Le ripercussioni di una guerra sarebbero avvertite in tutta la regione. Temiamo che il conflitto possa generare in futuro altre crisi umanitarie.
Ci appelliamo alla comunità internazionale perché tenti di migliorare la situazione umanitaria in Iraq e cerchi una soluzione diplomatica alla crisi in atto. Le polemiche sugli ispettori Onu e sull?arsenale militare iracheno non dovrebbero distogliere l?opinione pubblica mondiale dalla necessità di trovare una soluzione alla crisi umanitaria in atto nel Paese da ben dodici anni.
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