Cultura
Complicata l’ora di Islam
Sergio De Carli e Giovanni Vinciguerra spiegano tutte le questioni che si dovranno affrontare per portare unora di religione islamica nelle classi
Tra la teoria e la pratica, si sa, c?è di mezzo il mare. E un mare, almeno per ora, sta in mezzo tra la proposta dell?Unione delle comunità delle organizzazioni islamiche in Italia di inserire nella scuola pubblica l?ora facoltativa di insegnamento della religione islamica e le vie pratiche per attuarla. «Si tratta di una proposta per ora un po? vaga», ironizza Sergio De Carli, presidente dell?Anir – Associazione nazionale di insegnanti di religione e direttore della rivista Orientamenti, «stiamo a vedere cosa accadrà, ma si può già dire che la proposta susciterà mille polemiche». Già, perché a determinare il destino della proposta formulata dall?Ucoii nel corso della prima riunione della Consulta islamica voluta dal ministro dell?Interno, Pisanu, non saranno soltanto gli scontri, peraltro già in atto, nei rispettivi campi del mondo politico italiano e della rappresentanza islamica, ma anche questioni tecniche.
De Carli inizia a riassumerne due: «La prima riguarda il numero. Quanti studenti musulmani ci vogliono per avviare una lezione sull?Islam? Uno, dieci o cento come ci suggerisce il cardinal Martino?». In seconda battuta sopraggiunge il problema relativo alla coincidenza degli orari. «Presupponiamo che in una scuola vi siano un alunno di fede musulmana in
una classe, tre in un?altra e sette in un?altra ancora. In che modo unirli nell?ora di religione islamica senza mettere a rischio la loro frequenza delle materie obbligatorie? Mettere a punto un calendario scolastico, le assicuro, è roba da mettersi le mani nei capelli». Dal canto suo, Giovanni Vinciguerra, direttore della rivista Tuttoscuola preferisce spostare il tiro sull?opportunità o meno di inserire in modo organico l?insegnamento dell?Islam. In una concezione laica, che fa della libertà religiosa una delle libertà dell?individuo in quanto tale, «uno studente di fede islamica, o cattolica, o altra, e iscritto alla scuola italiana, non può limitarsi a non avvalersi dell?insegnamento della religione cattolica, che è aggiuntivo rispetto al curricolo ordinario, ma non avrebbe senso che richiedesse di sostituire la lezione cattolica con quella islamica». Al contrario, nell?ottica comunitaristica, incentrata sulla salvaguardia dell?identità culturale e religiosa dei gruppi, continua Vinciguerra, «si prevede di introdurre in modo organico l?insegnamento dell?Islam in alternativa a quello cattolico all?interno dell?orario scolastico, fino a giungere all?instaurazione di classi omogenee sulla base di opzioni religiose. È una via non praticabile. Non solo perché ?autoreferenziale?, ma anche perché ripropone il problema del numero di insegnanti necessari per impartire questo tipo di lezioni». Da qui la proposta di Vinciguerra di «sfruttare le possibilità offerte dalla normativa vigente che permette di scegliere un?attività alternativa all?insegnamento cattolico. La legge sull?autonomia consente a ogni scuola di riservare fino al 15% del programma scolastico a discipline non previste nell?ordinamento nazionale. In questo spazio potrebbe inserirsi l?ora di religione islamica».
La proposta è allettante, ma non scioglie alcuni nodi di fondamentale importanza. Il primo riguarda la qualità degli insegnanti. «Sono pochi i musulmani italiani in grado di soddisfare la domanda», dice De Carli, convinto che «essi debbano dimostrare un titolo di studio riconosciuto dallo Stato italiano, una frequenza di corsi di formazione di livello universitario e la capacità di definire un programma che rispetti le nostre leggi, ivi compresi i testi sui quali studiare». Non c?è che dire, la proposta dell?Ucoii è irta di ostacoli.
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