Politica

Responsabilità sociale, da che pulpito…

Molti comuni lanciano iniziative per incentivare comportamenti etici nelle imprese. Ma siamo proprio sicuri che gli enti locali abbiano la credibilità necessaria per dare queste indicazioni?

di Redazione

Già qualche anno fa la Regione Toscana aveva approvato una leggina per incentivare la responsabilità sociale delle imprese introducendo il principio di punti in più per quelle imprese fornitrici che presentassero alle gare la certificazione di essere azienda socialmente responsabile. Era l?epoca in cui il ministro del Welfare, Maroni, cavalcava la responsabilità sociale delle imprese sostenendo un ruolo direttivo e implicitamente regolatorio del governo nella speranza che obbligando le imprese a investire sul sociale diminuissero gli obblighi di finanziamento pubblico. Una posizione poi velocemente cambiata… perché impraticabile e anche perché respinta da imprese e sindacati. Le politiche di responsabilità sociale delle imprese possono venire sì stimolate dal settore pubblico ma non obbligate; altrimenti si tratterebbe soltanto di nuove norme. Così quella iniziativa della Regione Toscana venne criticata anche al di là del dovuto perché in qualche modo veniva accomunata (malgrado le ovvie differenze di matrice politica) a quella di Maroni. Più recentemente, invece, si manifestano iniziative da parte di enti locali che si propongono di studiare, promuovere, tematizzare e sviluppare la responsabilità sociale delle imprese. Sulla scia di una iniziativa già presa da tempo da Unioncamere con l?attivazione di sportelli di assistenza alle imprese dedicati, il Comune di Roma, in accordo con la Camera di commercio, ha da poco lanciato il suo progetto Csr – Roma Lab – Roma Responsabile (www.romaresponsabile.it) Anche il Comune di Parma, in partnership con l?Osservatorio Finetica, ha da poco presentato il suo Centro di ricerca nazionale sulla responsabilità sociale. Sono tutte iniziative meritorie che però suggeriscono una riflessione critica. Se è vero che la responsabilità sociale di impresa nasce quando decide di sviluppare politiche e programmi con i suoi stakeholder che vanno oltre la legge, si entra nell?area della volontarietà e della unilateralità e non si può non ricordare che l?efficacia di un messaggio richiede la compresenza di almeno due caratteristiche: la familiarità del contesto e la credibilità della fonte. La comunicazione è inefficace se almeno quelle due condizioni non sono soddisfatte. Per la prima non c?è problema poiché l?amministrazione si occupa abitualmente di questioni delle imprese e i soggetti cui le due iniziative sono rivolte sono ormai attente al tema. Sussistono invece dubbi sulla seconda. A chiunque quel messaggio sia diretto, in primo luogo alle imprese, non può sfuggire il fatto che normalmente l?amministrazione pubblica è proprio il primo soggetto che stenta ad applicare le leggi. «Ma come», si chiede l?imprenditore, «tu mi solleciti a determinati comportamenti? Ma con quale credibilità? Pensa tu piuttosto ad applicare le norme che imponi a me di applicare e poi ne parliamo». Se volessimo poi inoltrarci oltre la legge e andassimo a vedere i comportamenti di molte amministrazioni con i rispettivi stakeholder, possiamo dire che sono credibili e responsabili? Pensiamo, ad esempio, ai rapporti con fornitori e i loro tempi di pagamento; ai rapporti con i dipendenti e il rispetto delle best practices; ai rapporti con i cittadini e la rendicontazione sui risultati raggiunti rispetto alle tante promesse e ai tanti impegni in campagna elettorale… Quando la fonte non è credibile, il messaggio non è efficace. Da cittadino direi: sono contento che il mio Comune si occupi di responsabilità sociale ma, prima di investire per incentivare quella degli altri, provveda per prima cosa a mettersi in regola con le leggi e cominci ad attuare comportamenti responsabili e a farlo sapere: sono risorse assai meglio investite per far crescere il capitale sociale, la fiducia e la qualità delle relazioni fra cittadini e amministrazione. Di Toni Muzi Falconi


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