Economia
Filantropia a lezione di mercato
I nuovi benefattori, sulla scia di Bill Gates, vanno a caccia del massimo ritorno sociale delle loro donazioni. Aiutati dalle società di consulenza.
«L?uomo che muore ricco muore in disgrazia», diceva Andrew Carnegie nel 1889. A cent?anni di distanza, i suoi colleghi filantropi possono addirittura puntare all?immortalità.
Oltre il denaroGli incentivi, fiscali e non solo – spiega l?Economist nel suo speciale – non mancano. In America, per esempio, il charitable remainder trust consente a una persona di donare a una charity la propria casa smettendo immediatamente di pagarci le tasse anche se continuerà a viverci fino alla morte. Ma la Svizzera non è da meno: l?università di St. Gallen ha pubblicato il libro Strategic legacy creation: toward a novel private banking proposition in cui Maximilian Martin, consulente filantropico di Ubs, sostiene che «una banca non può rendere i suoi clienti immortali, ma può creare dei lasciti che soddisfano il loro desiderio di trascendenza».
Sommate agli sgravi fiscali e al desiderio di fama eterna la paura di crescere figli viziati e capirete i filantropi di oggi, nella maggior parte dei casi self-made man che il patrimonio se lo sono creati da soli invece di ereditarlo. Dall?americano Bill Gates, 31 miliardi di dollari donati fino ad oggi, cui secondo l?Economist va il merito di aver trasformato la filantropia nella norma per i super ricchi, agli esponenti della cosiddetta diaspora philanthropy. Ovvero imprenditori del Sud del mondo, come gli indiani Azim Premji e Nadan Nilekani, che hanno prosperato all?estero e che donano ingenti somme di denaro al loro paese d?origine. Ma non solo denaro, perché la filantropia di oggi va oltre i soldi. Greg Dees, della Duke University, la definisce come l?arte di «mobilizzare e usare risorse private, compresi soldi, tempo, capitale sociale, contatti ed esperienze, per migliorare il mondo in cui viviamo». Arte che una volta si praticava dopo la pensione, tra i 60 e i 70, e che oggi invece appassiona anche i 30 e 40enni. Giovani più inclini a definirsi investitori sociali che benefattori e sicuri che la filantropia, oggi, abbia soprattutto bisogno di andare a lezione dal mercato.
Il filantrocapitalismo
L?obiettivo è costruire una sorta di mercato filantropico. E, a detta dell?Economist, c?è solo un modo per riuscirci: massimizzare il ritorno sociale delle donazioni. Bill Gates c?è l?ha fatta fissando obiettivi chiari nel campo della salute e cercando partnership con enti non profit che potessero ampliare al massimo l?impatto della sua azione. Il suo esempio è già stato seguito. Al fare rete oggi ricorrono infatti molti altri filantropi: dall?inglese Stephanie Shirley (che per finanziare la ricerca su un gene dell?autismo del costo di 1 miliardo di sterline ne ha stanziate 50 milioni chiedendo ad altri donatori di fare lo stesso) al Global Philanthropists Circle fondato da Peggy Rockfeller Dunlany che unisce 50 famiglie ricchissime di 20 paesi per mettere in comune denaro e idee con cui combattere la povertà nel mondo. Ma le strade per massimizzare l?impatto delle donazioni non finiscono qui. La prestigiosa Johns Hopkins University suggerisce che le fondazioni oggi dovrebbero imparare ad agire come banche filantropiche offrendo prodotti finanziari come prestiti oltre che donazioni. Mentre per il fondatore di eBay, Pierre Omydiar la massimizzazione del ritorno sociale passa per investimenti fatti sia sul profit che sul non profit, il doppio binario filantropico su cui oggi si muove anche la Google Foundation.
Ma quali sono le migliori idee su cui investire? Dal Sudamerica all?Europa è caccia aperta ai più innovativi imprenditori sociali. Da qui il premio per l?imprenditorialità sociale che il gruppo di private bank svizzero Ubs ha lanciato in Brasile, Messico e Argentina: grazie a una partnership con Ashoka, l?organizzazione fondata nel 1980 dal consulente McKinsey Bill Drayton, selezionerà i più promettenti imprenditori sociali dei tre paesi. Basteranno buone idee e donatori decisi ad avere il maggior impatto sociale possibile a far prosperare la filantropia? Non senza adeguate infrastrutture. L?equivalente filantropico di mercati azionari, banche di investimento e consulenti gestionali, per intenderci.
Le infrastrutture
A detta dell?Economist, oggi sono molte le iniziative dedicate a far funzionare al meglio il mercato filantropico. L?Npc – New Philantrophy Capital è una di queste. Creato nel 2001 a Londra da Gavyn Davies e Peter Wheeler, due alti dirigenti di Goldman Sachs che dopo l?ingresso in Borsa della compagnia avevano molti soldi da donare ma non riuscivano a trovare informazioni accurate sulle charity a cui avrebbero potuto stanziarli, oggi offre indicazioni prioritarie d?acquisto attraverso report tematici sul terzo settore inglese.
E in America? Oltre al GG – Geneva Global, che invia ai potenziali donatori un catalogo mensile con il monitoraggio di progetti ad alto impatto sociale realizzati da piccoli gruppi non profit fuori dagli Stati Uniti, dal 1994 è attivo Guide Star, portale che pubblica, gratuitamente, i bilanci di 1 milione e mezzo di charity. Una piccola rivoluzione è in atto anche sul fronte della consulenza: per rispondere alle richieste dei loro clienti, istituti di private banking come Goldman Sachs, Hsbc, Coutts e Ubs hanno creato unità dedicate alla filantropia, ai lasciti alle charity e alle fondazioni lasciate in eredità a figli e nipoti. E con società di consulenza come McKinsey e Bain che si sono da tempo dedicate al non profit, perfino l?idea di un mercato azionario sociale sembra sempre meno campata per aria. Tra quelli che ci credono, c?è Jeff Skoll, primo direttore generale di eBay: «Un giorno potrebbe accadere, magari con un sistema basato su punti di merito».
In attesa che ciò succeda, conclude l?Economist, chiunque lavori alla costruzione di una versione filantropica del mercato dovrà porsi, e rispondere, a questa domanda da 1 miliardo di dollari: come misurerà il proprio successo? Per il mercato la risposta è semplice: con il profitto. Ma per il suo equivalente filantropico non c?è niente di così definito.
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