Famiglia

Nairobi: «Europa vergognati»

Il j'accuse dell'ex ministro della cultura maliano Aminata Traorè sulla politica migratoria europea. Le promesse della viceministro Patrizia Sentinelli. Il racconto dei sopravvissuti

di Joshua Massarenti

NAIROBI (Kenya) ? Era l’ottobre 2005. Migliaia di migranti africani spinti dalla fame, dalla guerra e dalla povertà, cercarono di scavalcare le reti di protezione installate a Melilla e Ceuta (Marocco) per raggiungere l’eldorado europeo. Quello che i media definirono un vero e proprio “assalto” alla fortezza Europa si concluse con la morte di quattordici persone, fra cui dei bambini. Il “massacro di Celilla e Meuta” diede il via a una serie di misure repressive senza precedenti da parte dell’Unione europea per frenare le ondate migratorie in arrivo dall’Africa sub-sahariana. Come? Esternalizzando il lavoro sporco nei paesi del Maghreb.

Dal 2005, sono stati siglati una serie di accordi che dalla Tunisia alla Mauritania, passando per il Senegal e (ovviamente) il Marocco hanno per scopo quelle di fermare i migranti e impedire loro di imbarcare sulle navi di fortuna che li traghettano in Spagna e Sicilia. A oltre un anno di distanza dalla tragedia di Melilla e Ceuta, il Forum sociale mondiale ha fatto delle migrazioni uno dei temi principali della sua edizione africana.

Sotto un tendone bianco installato a pochi passi dallo stadio di Kasarani, l’ex ministro della cultura maliano e leader di spicco del movimento altermondialista, Aminata Traoré, siede affianco a cinque africani dallo sguardo impassibile. Al primo colpo d’occhio, si capisce che la loro presenza sul palco non coincide con quanto annunciato nel programma odierno. Il workshop dedicato alla diaspora e alle migrazioni prevede l’intervento di due sudamericani, un avvocato statunitense, la vice ministro degli Esteri Patrizia Sentineli e tre rappresentanti della società civile africana.

Passano pochi minuti e la Traoré rivela l’identità degli ospiti di turno. “Prima di iniziare i lavori” dice con tono quasi istituzionale, “è mio dovere presentarvi delle persone. Queste persone sono il simbolo delle politiche disumane adottate dall’Unione europea contro centinaia di migliaia di migranti africani costretti a fuggire il nostro continente. Ognuno di loro è stato protagonista di un calvario difficilmente descrivibile. Hanno lasciato parenti e amici, le terre in cui sono nati e cresciuti nel tentativo di cercare una vita migliore. Pensavano di trovarla in Europa, ma l’Europa li ha ripudiati, anche grazie alla complicità delle autorità governative dei paesi maghrebini. Nei media europei, questi esseri umani sono paragonati a una vera e propria minaccia sociale per le società del Vecchio continente. Ma qualcuno spenderà una parola sulle cause che li spingono verso l’Europa? Qualcuno dirà che non c’è nulla di peggio al mondo che lasciare i propri cari? E qualcuno rivelerà ai cittadini europei che se l’Europa non aprirà le sue porte, la popolazione tra i 20 e i 40 anni di età calerà del 17% da qui al 2025? Quindi che l’Europa avrà bisogno di almeno 20 milioni di persone per poter controbilanciare il calo demografico? No, questo l’Europa non lo dice!”.

Nella sala, un silenzio di piombo accoglie il j’accuse della Traoré. Poco dopo, sarà la volta di una giovane migrante camerunese . Si chiama Marie, il volto segnato dal dolore e dall’emozione: “Mi dovete scusare, ma non sono abituata a parlare. Ascoltare Aminata è una cosa difficile da sopportare perché riaffiora nella mia mente tutto quello che ho dovuto subire in questi ultimi anni”. In francese perfetto, Marie ricorda “la lunga traversata che dal Camerun mi ha spinto verso l’Europa. Molti di voi hanno in memoria le immagini di migranti che sbarcano in stato cadaverico sulloe vostre coste. Pochi invece sanno quello che un essere umano africano subisce in Marocco o in Algeria. A Mellila e Ceuta ho vissuto condizioni terribili, così come in Francia da cui sono stata espulsa nel novembre scorso, ma nulla è paragonabile alle umiliazioni fisiche e morali che subisci nei paesi maghrebini. Sono partita dal Camerun conscia che il viaggio sarebbe stato difficile, ma mai avrei immaginato un tale calvario”.

Con le lacrime agli occhi, Marie rivela “i mesi d’inferno vissuti in Marocco. Polizia, giudici, trafficanti umani, politici, tutti sono complici di violenze incredibili nei confronti dei migranti. Non ho vergogna a dirlo: in Marocco, ho dovuto prostituirmi per pagare chi mi avrebbe aiutato a raggiungere l’Europa, sono stata picchiata dalle forze dell’ordine e ignorata dai giudici nel corso dei miei ripetuti arresti. Eppure, mi ritengo fortunata. Molti africani vengono abbandonati a se stessi nel deserto dalle autorità marocchine. Avrei potuto contrarre l’Aids, ma per fortuna il test anti-Hiv è risultato negativo”. Eppure, “non posso non provare un odio profondo contro i bianchi. Purtroppo temo che gli europei non si rendano conto delle frustrazioni che stanno veicolando tra gli africani. No, non credo proprio”.

Assieme al pubblico, la vice ministro degli Esteri Patrizia Sentinelli è raggelata dalla testimonianza di Marie. A lei, spetta il compito di prendere la parola in qualità di rappresentante di un governo, quello italiano, partecipe della vasta politica repressiva europea nei confronti dei migranti. Sin dalle prime battute, la Sentinella espone il suo “disagio rispetto a quanto abbiamo appena ascoltato. Per quanto mi riguarda, come vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale e all’Africa, rimango convinta che i Centri di detenzione preventiva istituiti in Italia vanno chiusi”.

Conscia però che la battaglia si giocherà tutta a Bruxelles, “è necessario che l’Europa cambia radicalmente la sua politica migratoria a favore della cooperazione internazionale. Perché la lotta contro la povertà passa per una politica di aiuti per e insieme agli africani. A questo proposito” conclude la vice ministro degli Esteri,”il movimento altermondialista avrà un ruolo fondamentale che intendo rafforzare in sede istituzionale”.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA