Cultura

Così ho convertito al bio 140mila studenti

Paolo Agostini: una laurea in scienze per la produzione animale e un percorso da autodidatta sul cibo biologico. Oggi anche grazie a lui la capitale è leader nelle mense “naturali”.

di Chiara Sirna

Con una laurea in tasca, ha iniziato a sventolare la bandiera del biologico quando ancora nessuno ne parlava. Il passaggio dalle industrie convenzionali, multinazionali doc in campo alimentare alla frontiera opposta se l?è creato da solo. Da perfetto autodidatta. Insomma, Paolo Agostini ha fatto un po? da pioniere insieme a chi negli anni 80 ha come lui bussato porta a porta per ?vendere? cibo naturale e prodotti non geneticamente modificati. Parole che alle orecchie degli accademici di allora, per non parlare degli imprenditori, suonavano come bestemmie.

«In università ci insegnavano a usare ormoni ed estrogeni, anche se erano vietati. La pratica era quella, c?è poco da dire», racconta. «Io e altri miei compagni di strada siamo cresciuti con il settore». E forse hanno anche contribuito a farlo crescere. Scelte accademiche fuori dai binari? No. Agostini si è laureato in Scienze per la produzione animale, seguendo la specializzazione in industrie agrarie. Ha lavorato per la Martini nel ruolo di dirigente e per altre multinazionali. Poi pian piano, «per interesse personale» si è avvicinato al biologico. Eroico? No, Forse più semplicemente convinto, ma soprattutto testardo. La prima opportunità è arrivata con la centrale del latte di Firenze (Mukki), un?azienda municipalizzata. «Volevano entrare nella rete bio e insieme ad altri soci abbiamo creato la Bio Service per il rifornimento di mense comunali», spiega. «Non è stato facile, bussavano porta a porta nelle amministrazioni, ma ci prendevano per matti».

Intanto con il Ccp di Bologna, un organismo di controllo e certificazione, ha avviato un allevamento bio di galline e alla fine, lasciata l?azienda, è passato a lavorare come consulente dell?Ufficio di programmazione alimentare del Comune di Roma nell?ambito della ristorazione collettiva. Oggi la rete delle mense scolastiche bio di cui Agostini è responsabile, distribuisce a Roma 140mila pasti al giorno, vanta 4mila diete speciali e prodotti anche a marchio equo-solidale: per la precisione 280mila banane e 140mila tavolette di cioccolato a settimana. Tutti dati riconosciuti e confermati dall?associazione BioBank nel rapporto annuale sulla diffusione delle mense bio in Italia per l?appunto. Un modello, quello romano, apprezzato anche oltremanica: lo scorso 4 gennaio il quotidiano britannico The Observer ha dedicato un articolo alle mense bio della capitale, definite «un buon esempio».

Merito anche della rigidità dei controlli e al coordinamento esterno di un team di esperti. «Prima chi concorreva agli appalti era libero di decidere se fornire prodotti bio o meno», dice Agostini, «adesso sono obbligati. Solo per i formaggi possono optare tra prodotti Igp o Dop, giusto per lasciare un minimo di spazio all?imprenditorialità». Ma la cernita è rigorosa. «Chi ha bio e basta (e non bio e convenzionale insieme) ottiene più punti». Non per pregiudizio, ma per precauzione: «Chi ha vissuto scandali alimentari è passato al biologico come opportunità commerciale di ripresa, a scapito ovviamente di imprese piccole e più attente». Un filone di pensiero che, recentemente, ha portato a introdurre nei menù delle mense anche prodotti del commercio equo-solidale.

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