Non profit

Verso il voto con il sociale muto

L'editoriale /Il sociale per queste elezioni e per questi partiti resta muto, e privo di rappresentanza. Un giudizio anche sul programma della Casa delle libertà.

di Riccardo Bonacina

Dobbiamo ai nostri lettori, dopo l?analisi fatta due numeri fa del programma dell?Unione, un giudizio anche sul programma della Casa delle libertà che è stato presentato solo lo scorso 24 febbraio. Cominciando dalle ricorrenze linguistiche, come avevamo fatto con quello dell?Unione, anche se è impossibile fare un paragone tra i due programmi (per quello dell?Unione si veda l?editoriale del n. 7 di Vita), perché quello della Cdl è di sole 21 pagine contro le 281 di quello del centrosinistra. In assoluto la parola più ricorrente, 27 volte (nel programma dell?Unione solo 24 volte), è ?riforma? o ?riforme?, ma per ben 16 volte si riferisce alla legislatura che sta per chiudersi. Uno dei primi capitoli è, infatti, dedicato a celebrare quanto è stato fatto con un elenco di «36 grandi riforme del governo Berlusconi». Desta sorpresa l?assenza assoluta della parola ?welfare?, anche se il punto 9, tra i dieci del programma, è intitolato ?Società solidale?: la sua lettura è però assolutamente deprimente. Se si toglie l?ovvia conferma del 5 per mille a ?volontariato? (unica ricorrenza), ?non profit? (due ricorrenze) e ?ricerca? (parola che ricorre otto volte), il resto parla di uno Stato compassionevole e un po? allegro: si promettono libri gratis per gli alunni, come teatri, cinema e treni per gli anziani, assistenza gratuita per giovani sportivi, e via dicendo. La leva per affrontare i problemi dello sviluppo e della coesione sociale rimane una sola: fisco e fiscalità, parole che ricorrono ben 18 volte. Grande spazio alla famiglia (parola che ricorre 12 volte), cui è dedicato un intero capitolo per confermare il bonus bebè, per promettere bonus locazioni per giovani coppie e misure di sostegno alla libertà di educazione, la prosecuzione degli investimenti per asili nido, e un fisco (eccolo ancora) fondato sul criterio del ?quoziente famigliare?. Che dire? Che i motivi di delusione, seppur di segno opposto a quelli che avevamo rilevato a proposito del programma dell?Unione, sono altrettanto decisivi. Nessuna visione della società, dell?economia civile, nessuna visione sui grandi problemi del welfare per le future generazioni, nessuno spazio alla funzione dei corpi sociali intermedi, nessuna idea di concertazione o di dialogo sociale (definizioni che ovviamente non compaiono nel programma). Il sociale per queste elezioni e per questi partiti resta muto, e privo di rappresentanza. Perciò oggi il sociale è davanti a due variabili radicali: o politica e società nel loro complesso tornano ad occuparsene, oppure il sociale è destinato a restare muto. O si riuscirà, ripartendo dal basso, a produrre una visione (anche politica) dell?ordine sociale capace di rimettere insieme i cocci, oppure resterà spazio solo per pratiche emergenziali e consolatorie o per un ritorno di uno statalismo d?antan. La politica sembra aver adottato una logica ?a prescindere? nei confronti del sociale. Che sia l?ora di rispondere con un ?a prescindere? del sociale rispetto alla politica? Non come atto di superbia, ma come convinzione che sono tante le cose da fare, le sfide da affrontare. Bisogna insistere nel produrre fatti di economia e di cultura, pratiche sociali, modelli d?intervento che siano l?inizio di un welfare di comunità capace di interfacciarsi con la realtà. E poi, magari, con la politica, senza però chiederle il permesso.


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