Politica

Il non profit e…

Un confronto a 3: Unione, Cdl e Non profit. Dov'e' finito il sociale? Che posto ha nei programmi delle due coalizioni? Uno speciale online e in edicola con VITA Magazine

di Riccardo Bonacina

Unione: Il sociale smarrito Diciamoci la verità: l’attenzione al sociale è quasi del tutto assente in questa lunga campagna elettorale. Basta assistere ai dibattiti in tv tra i leader dei partiti e delle coalizioni e, più in generale, al dibattito di questi giorni per capire quanto sia assente. Si discute dei Borghezio o dei Caruso, di Luxuria e di Ferrando, ci si accusa reciprocamente di frequentare brutte compagnie, ma sulle idee per rilanciare il paese, si vola davvero bassino. Prodi punta forte, a Porta a Porta, sulla riduzione del cuneo fiscale di cinque punti che non solo riprende un caposaldo della Finanziaria 2006 di Tremonti, ma che addirittura non è rintracciabile nel pur corposissimo programma dell’Unione, ben 281 pagine. Un programma che abbiamo letto per intero, e al cui riguardo rimandiamo alla lettura dei degli articoli che seguono in fondo alla pagina. Qui ci limitiamo a sottolineare alcune ricorrenze linguistiche molto, molto significative. La sigla ong compare solo 1 volta, la parola associazionismo 7, solo 8 ricorrenze per la parola volontariato, 6 volte la definizione terzo settore, 4 volte non profit, nessuna ricorrenza per una definizione che qui a Vita amiamo molto, corpi sociali o corpi sociali intermedi. Un’assenza che la dice lunga sull’uso ricorrente della parola concertazione (15); concertazione con chi? Tra istituzioni? Persino la parola welfare compare poche volte: solo 18, e per 5 volte è declinata come welfare state, per altrettante come welfare locale. Nessun uso di espressioni a noi care, come welfare community o welfare society. Viceversa troviamo un profluvio di parole come Stato (oltre 100), Regioni (120), enti locali (50), Comuni (42 volte). Comunità compare solo 25 volte. Infine, non possiamo non sottolineare la diversità di ricorrenze di due parole che ameremmo vedere più spesso insieme: la parola diritti ricorre per quasi 200 volte, la parola dovere, invece, ricorre solo cinque volte! Per quanto riguarda la coalizione di centrodestra, invece, non possiamo, ad oggi, né fare considerazioni sul programma né tantomeno analizzarne il testo secondo le parole ricorrenti. Per ora, i leader del centrodestra si limitano a dire che il programma sarà una naturale evoluzione di quanto fatto in cinque anni di legislatura. Sappiano che la considerazione non ci tranquillizza affatto. Il sociale, i suoi temi e i suoi movimenti, e questo possiamo dirlo in maniera quasi definitiva, non è solo assente nelle discussioni e nei programmi, è assente anche dalle liste. Forse mai come in questa tornata elettorale la selezione dei candidati è stato così affare delle segrete stanze delle segreterie dei partiti. Proprio nell’intervista pubblicata sul numero scorso di Vita, Savino Pezzotta ha sottolineato come «oramai si fanno le liste mettendoci dentro l’attrice, l’intellettuale, i rappresentanti di genere (donne, gay, maschi), una spruzzata di professioni, magistratura e giornalisti, e via. Io preferirei una lista con qualche operaio, qualche casalinga, qualche immigrato, insomma la gente del popolo. Sono populista? No, sono popolare, voglio che nella politica permanga la domanda: come si rappresenta il popolo e i suoi bisogni?» Chi, oltre al primato della politica ha a cuore il pari primato del sociale, non può che condividere questa considerazione. C’è ancora qualche giorno, qualcuno farà qualche scelta in questa direzione? Cdl: il sociale muto Ed ecco il programma della Casa delle libertà, presentato solo lo scorso 24 febbraio. Cominciando dalle ricorrenze linguistiche, come avevamo fatto con quello dell’Unione, anche se è impossibile fare un paragone tra i due programmi (per quello dell’Unione si veda l’editoriale del n. 7 di Vita), perché quello della Cdl è di sole 21 pagine contro le 281 di quello del centrosinistra. In assoluto la parola più ricorrente, 27 volte (nel programma dell’Unione solo 24 volte), è “riforma” o “riforme”, ma per ben 16 volte si riferisce alla legislatura che sta per chiudersi. Uno dei primi capitoli è, infatti, dedicato a celebrare quanto è stato fatto con un elenco di «36 grandi riforme del governo Berlusconi», tra queste anche alcune leggi (per esempio la riforma dell’ordinamento giudiziario, della disciplina dell’immigrazione e della seconda parte della Costituzione) che non solo è arduo definire riforme, ma è addirittura insensato dargli l’attributo di “grandi”. Desta sorpresa l’assenza assoluta della parola “welfare”, anche se il punto 9, tra i dieci del programma, è intitolato “Società solidale”: la sua lettura è però assolutamente deprimente. Se si toglie l’ovvia conferma del 5 per mille a “volontariato” (unica ricorrenza), “non profit” (due ricorrenze) e “ricerca” (parola che ricorre otto volte), il resto parla di uno Stato compassionevole e un po’ allegro: si promettono libri gratis per gli alunni, come teatri, cinema e treni per gli anziani, assistenza gratuita per giovani sportivi, e via dicendo. La leva per affrontare i problemi dello sviluppo e della coesione sociale rimane una sola: fisco e fiscalità, parole che ricorrono ben 18 volte. Grande spazio alla famiglia (parola che ricorre 12 volte), cui è dedicato un intero capitolo per confermare il bonus bebè, per promettere bonus locazioni per giovani coppie e misure di sostegno alla libertà di educazione, la prosecuzione degli investimenti per asili nido, e un fisco (eccolo ancora) fondato sul criterio del “quoziente famigliare”. Che dire? Che i motivi di delusione, seppur di segno opposto a quelli che avevamo rilevato a proposito del programma dell’Unione, sono altrettanto decisivi. Nessuna visione della società, dell’economia civile, nessuna visione sui grandi problemi del welfare per le future generazioni, nessuno spazio alla funzione dei corpi sociali intermedi, nessuna idea di concertazione o di dialogo sociale (definizioni che ovviamente non compaiono nel programma). Il sociale per queste elezioni e per questi partiti resta muto, e privo di rappresentanza. Perciò oggi il sociale è davanti a due variabili radicali: o politica e società nel loro complesso tornano ad occuparsene, oppure il sociale è destinato a restare muto. O si riuscirà, ripartendo dal basso, a produrre una visione (anche politica) dell’ordine sociale capace di rimettere insieme i cocci, oppure resterà spazio solo per pratiche emergenziali e consolatorie o per un ritorno di uno statalismo d’antan. La politica sembra aver adottato una logica “a prescindere” nei confronti del sociale. Che sia l’ora di rispondere con un “a prescindere” del sociale rispetto alla politica? Non come atto di superbia, ma come convinzione che sono tante le cose da fare, le sfide da affrontare. Bisogna insistere nel produrre fatti di economia e di cultura, pratiche sociali, modelli d’intervento che siano l’inizio di un welfare di comunità capace di interfacciarsi con la realtà. E poi, magari, con la politica, senza però chiederle il permesso.
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  • Il programma dell’Unione 281 pagine, formato Acrobat Reader, 634k
  • Il programma della Cdl 21 pagine, formato Acrobat Reader, 88k Leggi il sommario di VITA Magazine 09/2006: “Perché noi abbiamo detto sì”

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