Famiglia

Stato vegetativo, le richieste delle famiglie

Secondo il documento del Ministero, appena presentato, sono 2mila in Italia. Considerando i famigliari si arriva a 5mila persone. Cosa fare per loro? Le proposte di due associazioni

di Sara De Carli

Martedì 21 febbbario, il sottosegretario alla salute Domenico Di Virglio ha presentato al Ministro Storace il documemento “Stato vegetativo e stato di minima coscienza”, elaborato dopo cinque mesi di attività. Sono intervenuti i coordinatori dei vari gruppi di lavoro: Filippo Palumbo, Gianluigi Gigli, Rodolfo Proietti, Paolo M. Rossini. I lavori hanno rilevato in Italia circa 2mila pazienti in stato vegetativo, di cui 700 al di sotto dei 15 anni di età. “L’anello debole della catena per queste condizioni – dice il documento – è la carenza di strutture e percorsi non ospedalieri che consentano la gestione della cronicità”. Il documento suggerisce quindi la creazione di Speciali Unità di accoglienza permanente per i soggetti in stato vegetativo o di minima coscioenza cronico, che possano costituire una valida alternativa al rientro domiciliare. Per tali strutture il documento individua alcune caratteristiche minime: da 10 a 20 posti letto per modulo, il libero acccesso dei famigliari e il sostegno psicologico per gli stessi famigliari. Un punto, quello dell’accompagnamento delle famiglie, che è al centro delle attenzioni delle associazioni. Nella stessa occasione Paolo Fogar e Mario de Marco, rispettivamente della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico e dell’Associazione Brain Onlus Vicenza, hanno presentato al Ministro un documento sulle aspettative delle famiglie, che pubblichiamo. Onorevole Ministro, Signore e Signori, buon giorno. Un ringraziamento per l’invito a Lei onorevole Ministro ed ai Suoi Collaboratori, da parte della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico. La conoscenza di esperienze maturate presso alcuni Istituti Italiani e gli imput raccolti dalle varie realtà associative ci permettono di affermare con forza che l’integrazione delle persone in stato vegetativo è possibile e doverosa. Questo maggiormente se pensiamo ai dati da Voi stimati in 1500 persone in condizioni di bassa responsività oggi in Italia ed ancora di più se a questo numero aggiungiamo i componenti delle loro famiglie. Lo scenario che si presenta è quello di una comunità che supera le 5000 persone. Ed ecco l’importanza che dovrà avere il documento che oggi presentate, che non dovrà rimanere nei cassetti del Ministero o delle Regioni ma dovrà trovare finanziamenti ed un’adeguata applicazione sul territorio nazionale. Il disperato momento del trauma spesso viene vissuto con grande ansia e agitazione. Le speranze sono necessarie per garantire nel tempo una migliore accettazione della condizione. Durante il periodo ospedaliero è necessaria l’assistenza psicologica ai congiunti della persona-paziente. L’assistenza psicologica, dichiarano molti famigliari, non deve essere intesa per favorire la rassegnazione e l’accettazione delle cupa realtà, ma è necessaria in quanto la figura dello psicologo si fa carico di mediare e garantire il necessario dialogo tra il paziente con grave alterazione della coscienza e la sua famiglia. La necessità che venga garantito questo rapporto è di fondamentale importanza. Esso è garanzia, secondo molti, di un cammino possibile. La presa in carico delle famiglie deve necessariamente riguardare tutto il contesto familiare. In particolare si vuole evidenziare, come per tanto tempo è stato trascurato e misconosciuto, il problema della genitorialità dei pazienti in stato vegetativo. Questa, allorché le persone vengono mantenute in vita, deve essere garantita con un supporto costante e attento alle problematiche dei minori -figli e fratelli – che si trovano nelle drammatiche scene imposte dalla malattie. I diritti umani appartengono sia a chi è consapevole sia a chi non lo è, e anche a chi come le persone in SV non possono farli valere. Spesso si assiste alla rottura dei legami delle famiglie e se da una parte ci troviamo concordi nel sostenere le madri dei pazienti, a volte le moglie si sono viste poco considerate dall’équipe dei curanti. Le famiglie soffrono atrocemente al momento delle dimissioni ospedaliere, si sentono abbandonate al loro destino. Le condizioni disumane in cui versano molte RSA non permettono una decisione serena tra casa o istituto. Qui ai giovani non viene garantito un ambiente idoneo, spesso c’è promiscuità, il paziente giovane si trova a convivere con ospiti affetti da patologie geriatiche altamente debilitanti. Inoltre la mancata discriminazione tra paziente in stato vegetativo e di minima coscienza spesso crea una presa in carico generica che non tiene conto delle necessarie differenziazioni cliniche, assistenziali e riabilitative. Il rientro a casa spesse volte è un rientro forzato. Da qui la necessità di monitorare il rientro sia presso il proprio domicilio o una struttura protetta La solitudine e la vergogna sociale invadono gli spazi vitali della famiglia che si trova da sola nell’affrontare un peso a volte insostenibile: o Allontanamento di parenti ed amici o Abbandono in forma definitiva del posto di lavoro di un componente della famiglia per assistere il proprio caro o Riduzione della vita di relazione e senso di isolamento o Forte peso assistenziale a carico della famiglia o Aggravi economici insostenibili per le famiglie (ristrutturazione dell’abitazione, presidi sanitari non previsti dal nomenclatore standard per questi pazienti??) Cosi una migliore rete territoriale (assistenza domiciliare specializzata, servizi sociali preparati e presenti) e dei Centri di Accoglienza di riferimento territoriali ben strutturati potrebbe essere una risorsa per le famiglie che scelgono il rientro al proprio domicilio o il ricovero presso una struttura protetta. Per queste persone non può essere adottata la filosofia dell’ospice e del cronicario. Le recenti modifiche garantite da alcuni nuclei per stati vegetativi, in particolar modo nel territorio del Veneto, hanno permesso di raccogliere alcune esperienze positive. Una lungo-degenza che sappia investire in risorse umane e che intenda la cura di queste persone come una costante e attenta attesa di minimi segnali di responsività permette alle famiglie di considerare l’istituto come una valida possibilità. L’utilizzo di ausili informatici per aumentare la capacità comunicativa del paziente, la possibilità di evitare i danni terziari della condizione neurolgogica, il continuo monitoraggio delle condizioni cliniche e il sostegno al concetto di persona sono le variabili positive percepite e attese dalle famiglie negli istituti di cura. Alla luce di quanto fin qui detto, le indicazioni delle associazioni possono così essere riassunte: o Si identifichino le peculiarità dei bisogni sanitari, assistenziali e sociali delle persone con gravi alterazioni dello stato di coscienza (stato vegetativo e stato di minima coscienza) sulla base delle nuove acquisizioni clinico-scientifiche disponibili e delle esperienze disponibili sul territorio nazionale, o Sia assicurata una continua valutazione e monitoraggio del grado di efficienza ed appropriatezza delle prestazioni assistenziali erogate sul territorio e dalle strutture extraospedalire ai pazienti ed alle loro famiglie o Sia creato un modello innovativo di dimissione ospedaliera, accoglienza e presa in carico sia territoriale che in strutture specializzate extraospedaliere, un modello organizzativo che sappia identificare, gestire e fornire idonee risposte alle problematicità del paziente con grave cerebrolesione acquisita.


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