Non profit

Rivoluzione a Londra. Blair scioglie le briglie al non profit

Una nuova legge modifica radicalmente il mondo delle charity. Obbligatorio un test "di pubblica utilità". Ma più libertà nella ricerca di risorse

di Carlotta Jesi

Per essere una charity, reinvestire gli utili e lavorare per il bene degli altri in Inghilterra non basta più. Bisogna essere promossi all?esame di public benefit: un test di provata utilità sociale che l?amministrazione Blair vuole rendere obbligatorio per tutti gli enti che aspirano allo status di charity e alle relative agevolazioni fiscali. Benefit di cui attualmente godono 188mila sigle con entrate annuali pari a 15,6 miliardi di sterline, 500mila dipendenti e 3 milioni di volontari.

Un test rivelatore
Il Public benefit test è una delle 61 raccomandazioni per la società civile inglese contenute nel rapporto governativo Private action, Public benefit: a review of charities and the wider non profit sector: 97 pagine, pubblicate il 25 settembre, che modificano radicalmente la legge sul Terzo settore. A cominciare dalla definizione di charity, vecchia di 400 anni, contenuta nello Statuto di Elisabetta I del 1601: «organismi senza scopo di lucro impegnati nella lotta alla povertà, nella promozione dell?educazione, della religione e di attività a beneficio della comunità».
Quattro campi d?azione che vanno stretti al Terzo settore di oggi: oltre 600mila enti con un potenziale occupazionale che cresce del 6,7% l?anno. Per gli esperti di Blair bisogna aggiungere sei nuove categorie d?impegno sociale (diritti umani, ambiente, sport, salute, cultura e arte) in modo che sempre più enti possano diventare charity. Status che sarà obbligatorio solo per le non profit con entrate superiori alle 10mila sterline. E che impone a quelle con un budget superiore al milione di pound di dichiarare l?eticità dei loro investimenti.
Investimenti, già. Non in coperte, infrastrutture e al massimo in pubblicità, come fa la maggior parte delle non profit nostrane. Investimenti in Borsa e in attività commerciali. Incentivati dalla riforma Blair che all?encouraging entrepreneurialism, il sostegno all?imprenditorialità delle non profit, dedica un intero capitolo. Obiettivo: consentire alle charity di svolgere attività commerciali anche senza bisogno di creare una trading company. Permesso oggi accordato solo alle organizzazioni con un?attività commerciale strettamente legata alla loro mission, per esempio un teatro che vende biglietti per i suoi spettacoli, ma non per un teatro non profit che voglia aprire al pubblico una caffetteria. Una mossa isolata per promuovere la crescita di un Terzo settore che significherebbe l?aumento di molti posti di lavoro? No, a sostegno dell?imprenditorialità delle charity vanno anche le raccomandazioni governative di eliminare gli ostacoli burocratici che oggi frenano le joint-venture tra non profit e di aumentare il numero di tipologie organizzative in cui inquadrare gli enti del Terzo settore. Dalle Charitable Incorporated Organisation, un nuovo status che tutelerebbe di più gli amministratori delle charity, alle Community Interest Company pensate per favorire lo sviluppo dell?impresa sociale.

E l?Authority va…
Le novità per il Terzo settore inglese non finiscono qui. Il governo ha messo sotto esame anche due grandi istituzioni come la Charity Commission e il fund raising, e ha deciso di cambiarli. Per la Commissione che dal 1853, con uno staff di 550 persone, gestisce il registro delle charity, il governo Blair ha in mente innanzitutto un cambio di nome. Diventerà la Charity Regulation Authority, dovrà aumentare da 5 a 9 i suoi commissari nominati dal ministro dell?Interno, presentare al governo un rapporto annuale sulle sue attività e il suo budget e tenere delle assemblee annuali aperte all?intero Terzo settore. Minore, inoltre, il controllo che eserciterà sugli enti senza scopo di lucro: non potrà più limitare il numero di campagne politiche che svolgono e le charity potranno appellarsi, contro le sue decisioni, a un apposito tribunale del riesame.
La riforma del fund raising inglese riguarda invece l?istituzione di un organismo nazionale, indipendente e autosufficiente, che uniformerà la legge in materia e proporrà agli operatori del settore il Code of Good Fund Raising Pratice: un codice etico di autoregolamentazione.

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