Welfare

Salari giù, profitti su

Trend. Che cosa sta accadendo nelle economie dei paesi ricchi

di Redazione

Secondo Morgan Stanley, la quota del reddito da lavoro nei paesi industrializzati nel 2005 è scesa al 55%. Le retribuzioni reali non sono riuscite a tenere il passo dell?inflazione. Eppure in Borsa… I l rapporto profitti/salari nei paesi industrializzati, a cominciare dagli Usa, è sui massimi di questa fase storica. Secondo Steve Roach, il noto economista di Morgan Stanley, mettendo insieme Usa, Europa e Giappone la quota dei redditi da lavoro sul reddito nazionale non arrivava a fine 2005 al 55%, come mai era accaduto per lo meno dall?inizio degli anni 90. Si scaricano i costi Le cause sono numerose, ma certamente la globalizzazione è una delle più potenti: con la concorrenza della forza lavoro cinese, che costa un decimo di quella americana o un quindicesimo di quella tedesca – e in India si paga persino la metà che in Cina – gran parte delle attività labor intensive svolte nell?Occidente industrializzato non sono più competitive e impongono soluzioni di delocalizzazione o di ?riposizionamento strategico?. Così sul fattore lavoro si scarica il costo della globalizzazione. Gli effetti sono una debolezza contrattuale diffusa anche ai settori meno esposti alla concorrenza e una crisi del modello tradizionale di contrattazione, cui spesso si cerca di ovviare in chiave politica con sterili richieste di ricorso al protezionismo. Negli Usa il fenomeno ha già raggiunto uno stadio avanzato, con risultati ormai fin troppo evidenti: non solo la quota dei profitti sul reddito nazionale è sui massimi, ma l?occupazione fatica a crescere e le retribuzioni reali, inclusive di salari e benefit vari, non riescono nemmeno a tenere il passo dell?inflazione. A fine 2005 erano infatti scese in territorio negativo (-0,4% su base annua), cosa che non accadeva dal 1997, e rischiano di generare squilibri nella crescita economica, legandola sempre meno ai redditi da lavoro e sempre più all?andamento degli asset in portafoglio alle famiglie. Ora anche l?Europa sta imboccando questa strada. I recenti, aggressivi tagli di personale annunciati da due realtà simbolo come Volkswagen (una volta esempio della temuta rigidità occupazionale tedesca) e France Telecom (dove la maggior parte dei lavoratori ha ancora mantenuto lo status di dipendente pubblico, con i suoi benefici e tutele) segnalano una politica di ristrutturazioni che ha ormai fatto breccia sia nel modello di relazioni sindacali sia nel mondo politico, almeno di questi paesi. Il caso Volkswagen Non sembra però che l?Italia sia disposta a seguire questa strada; da qui un doppio problema di competitività, che si aggiunge a quello della maggiore esposizione sui comparti più aperti al commercio internazionale. Eppure le Borse non sembrano aver dato peso a questi aspetti. Se Volkswagen diventa più competitiva annunciando 30mila lavoratori in meno e un contestuale aumento della produttività – con la settimana lavorativa che dovrebbe passare dalle 28,8 ore attuali alle precedenti 35 ore, e schemi che ne contemplano fino a 42 senza il pagamento di straordinari – è logico che il suo titolo ne benefici; meno però che ne siano contagiate anche le altre realtà del settore, a cominciare da una Fiat che difficilmente potrà attuare simili interventi, e semmai si ritroverà su un mercato europeo ancora fermo nel 2006 un competitor più agguerrito e dai costi più leggeri. Discorso simile vale per France Telecom, i cui tagli annunciati (17mila unità in meno, quasi tutte in Francia, pari a circa il 9% della forza lavoro complessiva) faranno sicuramente bene ai conti del gruppo, ma non a quelli degli altri. Una cosa comunque è certa: se anche la crescita economica europea rimanesse fiacca, quella degli utili, grazie ai favorevoli rapporti di forza nei confronti del lavoro dipendente, potrebbe evidenziare ancora trend soddisfacenti. Sempre che, ovviamente, si creino in parallelo opportunità d?impiego in altri settori, altrimenti alla fine sarà la crisi dei consumi a farsi maggiormente sentire.


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