Volontariato

Luca Coscioni per chi ho lottato

Solidarietà. Cosa lascia il presidente dei Radicali

di Sara De Carli

Sono almeno 5mila le persone che in Italia hanno la sua stessa malattia. È per loro che Luca ha fatto una battaglia pubblica diventata una staffetta. Non per sé, ma per tutti gli altri, per «quelli che si devono ancora ammalare, quelli che devono ancora nascere». In tanti hanno raccolto il suo testimone, consapevoli che la strada è ancora molto lunga. E prosegue nei ?seggi al volo? che lui ha ottenuto per le prossime elezioni. Luca Coscioni ha scoperto i primi sintomi della malattia mentre si allenava per la maratona di New York. Aveva 28 anni, una moglie e insegnava Politica economica all?università di Viterbo. Cinque anni dopo scrive un libro, si intitola Il maratoneta. In copertina Superman che sfonda un muro. «Chiaramente Superman non sono io», ha detto a una delle presentazioni. «Superman siamo noi, i ricercatori, i malati, i politici, uomini e donne concreti, che con le nostre individualità sfonderemo prima o poi il muro eretto da chi vorrebbe continuare a oscurare le nostre coscienze e le nostre libertà ». Coscioni sapeva di non essere né superman né (più) un maratoneta: la sua era per forza di cose una staffetta. Ne era consapevole lui, dicendo che «c?è un tempo per i miracoli della fede, e uno per i miracoli della scienza. Ma non ho, non abbiamo, molto tempo. Non possiamo aspettare le scuse di uno dei prossimi Papi ». Ne era consapevole Maria Antonietta che, a chi le ha chiesto se una maggiore libertà di ricerca avrebbe salvato suo marito, ha risposto: «Certo che no. La sua era una battaglia altruistica: per gli altri malati, per chi oggi sta bene ma si ammalerà, per chi deve ancora nascere». Compagni di staffetta Come Luca, in Italia ci sono circa 5mila persone. Un numero incerto, calcolato sulle statistiche (1,5 casi di Sclerosi laterale amiotrofica ogni 100mila), visto che non esiste un registro nazionale. La Sla è stata inclusa nell?elenco malattie rare solo nel 2001: prima gli aiuti statali arrivavano attraverso il riconoscimento dell?invalidità civile. Staffettisti per forza. Qualcuno ha trovato la forza, come Luca, di fare della malattia occasione di impegno e di lotta. A Roma c?è Giorgio Recchia, professore di Diritto all?università di Roma Tre, a cui nel 2003 è stata diagnosticata la Sla. A ottobre 2005 ha fondato Icomm, e ha citato in giudizio il ministero della Sanità: «Ha vinto», dice Nicola Colacino, presidente di Icomm, «e il ministero è stato obbligato a completare la rete nazionale di presidi». A Pavia invece c?è Mario Melazzini, primario del day-hospital oncologico del Maugeri e vicepresidente di Aisla. Ha 48 anni, una moglie, tre figli (22, 17 e 11 anni), una badante e un cane. Ha la Sla da tre anni, è tetraparetico: «Muovo solo la mano destra, senza forza. Continuo a lavorare come posso e a cercare una qualità accettabile di vita per me e la mia famiglia. Perché mi sono impegnato? Perché sono medico, e perché per i malati di Sla si fa pochissimo. Ogni Regione ha un suo protocollo di assistenza, la Asl ti dà il permesso di cambiare gli ausili ogni cinque anni: ma si rendono conto che il 60% dei malati muore in tre anni?». Per Melazzini la Sla è una ?malattia per ricchi?: chi ce l?ha, diventa non autosufficiente in un tempo relativamente breve, ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, spesso un famigliare rinuncia al lavoro e comunque una badante serve? Insomma, ce la si cava con 40mila euro all?anno. Per questo gran parte delle associazioni si occupano di assistenza: cominciando da Viva la vita, che il 21 febbraio ha organizzato la prima conferenza regionale sulla Sla, con l?obiettivo, dice Stefania Atili, «di creare un protocollo unico per l?assistenza domiciliare ». Stefania di Viva la vita, Rossana dell?associazione Aldo Perini e molti altri sono staffettisti per scelta, famigliari di persone colpite da Sla e oggi scomparse. Luca diceva: «Non è una battaglia che ho scelto io, è lei che ha scelto me». Le ricerche in atto Per la Sla non ci sono cure. Esiste solo un farmaco che rallenta il progredire della malattia. Qualche speranza è legata alla una mutazione di un gene che pare connessa alla Sla. A marzo partirà uno studio di due anni su 24 pazienti, basato sulla mobilizzazione delle cellule staminali emopoietiche: le cellule, sollecitate, dovrebbero andare in circolo. Letizia Mazzini invece sta effettuando uno studio sul trapianto di cellule staminali mesenchimali autologhe. È quello a cui ha partecipato anche Coscioni («fare la cavia non è stata una scelta facile»), senza benefici. Elena Cattaneo, che dirige il Laboratorio sulle cellule staminali e malattie degenerative alla Statale di Milano ed era al Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica dell?associazione Luca Coscioni, lo giudica «un azzardo», mentre Gianluigi Mancardi, direttore della Seconda clinica neurologica dell?università di Genova sottolinea che «è solo la fase 1 della sperimentazione, non è volta a misurare l?efficacia, tuttavia visto che la Sla non ha una sede precisa non credo che quella sia la strada». Entrambi sostenitori della libertà di ricerca, ammettono che, staminali embrionali o no, oggi non ci sono studi che hanno ricadute cliniche, almeno per la Sla. «Però se si potesse ricercare, forse qualcosa si troverebbe». L?ultimo regalo, il voto Il testimone di Luca passa a tutti loro. Non importa che siano malati di Sla o meno. «Coscioni non si è occupato solo di Sla», dice Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer. «La sua malattia la nominava sempre per ultima. Si è impegnato a 360 gradi per difendere i diritti dei malati: quando si combatte, si combatte per tutti. Io non condivido le sue posizioni, ma certo il suo esempio dovrebbe dare ad altri la forza di uscire allo scoperto». Alle elezioni del 9 aprile, 100mila malati intrasportabili potranno votare nei ?seggi al volo? che Luca ha strappato al ministro Pisanu. La staffetta riparte da lì. Magari per altre strade.


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