Welfare

“Ad Abu Ghraib anche italiani”: la denuncia dell’incappucciato

Lo rivela ai microfoni di Rai News24 Ali Shalal al Kaisi, il detenuto incappucciato con gli elettrodi ripreso in una foto che ha fatto il giro del mondo. L'intervista è già online.

di Redazione

C’erano anche degli italiani a condurre gli interrogatori nel carcere della vergogna di Abu Ghraib. Lo rivela Ali Shalal al Kaisi, il detenuto incappucciato con gli elettrodi ripreso in una foto che ha fatto il giro del mondo. Riferendo la confidenza raccolta da un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, l’incappucciato parla ai microfoni di Rai News24 e sostiene che a condurre i tremendi interrogatori nel carcere di Bagdad c’erano anche contractors italiani ingaggiati da ditte americane. L’inchiesta di Sigrido Ranucci, curata da Maurizio Torrealta, andra’ in onda domani 23 febbraio alle ore 07:40 su Rainews24 e su RaiTre. Ma puo’ essere scaricata anche online sul sito di Rainews24. La testimonianza. Ali Shalal al Kaissi ha 42 anni; fu arrestato nell’ottobre 2003 a Baghad con l’accusa di far parte della guerriglia. Studioso e insegnante di religione era un mokhtar, un’autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti della capitale irachena. “Dopo quindici giorni di prigionia – ricorda l’ex prigioniero – mi hanno tolto dalla cella, mi hanno messo una coperta con dei buchi, come se fosse un vestito tradizionale arabo. Mi hanno legato con del filo elettrico e messo su una scatola di cartone. Poi mi hanno detto che mi avrebbero elettrizzato se non avessi collaborato. Per tre giorni mi hanno colpito con scosse elettriche. Ogni volta che usavano gli elettrodi – racconta l’incappucciato – sentivo gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. Una scossa è stata talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un dottore, che ha aperto la mia bocca con gli stivali, ha visto che il sangue non veniva dallo stomaco ma dalla lingua e ha detto: Continuate pure”. “Mi chiamavano: Uomo uncino”. Ad Abu Ghraib, Ali Shalal veniva chiamato in gergo sprezzante Clawman, uomo uncino, per una tremenda ferita alla mano. “Prima di essere arrestato avevo subito un’operazione chirurgica alla mano. Ma quando sono entrato in prigione, gli americani hanno usato questa ferita come strumento di pressione. Mi dicevano: Se collabori ti possiamo aiutare a far diventare la mano come prima con un intervento chirurgico”. Invece “con gli stivali calpestavano continuamente la mia mano ferita”. Ali si è rifugiato ad Amman, in Giordania, e ha fondato l’Associazione delle vittime delle prigioni americane. E’ stato intervistato mentre seguiva un corso per Non violent action for Iraq tenuto da alcune Ong europee. Violenze sessuali in carcere. Ai microfoni di Sigfrido Ranucci inviato di Rai News24, Ali Shalal dice di aver assistito personalmente ad abusi sessuali su uomini e donne: “Una soldatessa ha interrogato un religioso e gli ha chiesto di fare sesso con lei. Lui si è opposto; allora la donna è tornata, indossava un fallo finto e lo ha violentato. Abbiamo pure sentito delle donne portate in prigione che venivano violentate, che strillavano e chiedevano il nostro aiuto ma l’unica cosa che potevamo fare è gridare: Dio è grande e vincerà”. Era atteso in Italia Al Kaisi: sarebbe dovuto venire a Roma per raccontare la sua storia ma gli è stato negato il visto.


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