Mondo

Africa cristiani a rischio

Crisi. Rapporto su una minoranza debole nel continente più debole.

di Joshua Massarenti

L?onda d?urto delle proteste islamiche sulle vignette assume la forma di un attacco violento contro le comunità. In Nigeria sono rimasti sul campo 50 morti. Ma in gran parte del continente i segnali inquietanti si moltiplicano. E spesso i conflitti religiosi sono solo pretesti che coprono obiettivi molto più politici. Sono i più esposti ai veleni improvvisi e imprevedibili dello scontro di civiltà. Sono i cristiani africani, figli di una Chiesa povera, spesso anche dimenticata da Roma. Prendiamo il caso della Nigeria. La scorsa settimana, una folla di scalmanati ha preso di mira i cristiani a Maiduguri, capitale dello stato del Borno, a maggioranza musulmana. Dodici chiese sono state date alle fiamme: alla fine il bilancio è stato di 50 morti e di 200 feriti. Per il grande stato africano – 128 milioni di abitanti in quasi un milione di chilometri quadrati ? la violenza interreligiosa non è certo una novità. I cristiani sono una grande minoranza; a Maiduguri, teatro degli ultimi attacchi, sono una piccolissima minoranza: centomila su 5,5 milioni di abitanti. «Hanno dato inizio alle aggressioni senza una ragione apparente», dice il vescovo della piccola diocesi, Matthew Manso Ndagaso. «Ci avevano annunciato una manifestazione per la vicenda delle vignette, ma garantendoci che sarebbe stata non violenta. Invece si è rivelato un piano per attaccare i cristiani. Ma io chiedo: che cosa c?entriamo noi, poveri cristiani di questo angolo della Nigeria?» Una domanda inquietante, a cui nessuno oggi sa dare una risposta. Perché, come sottolinea il vescovo, il fanatismo religioso in realtà copre il rancore per una povertà senza soluzioni, e attecchisce tra giovani che non hanno mai avuto l?ombra di un?educazione. Inoltre la storia di queste tensioni non è storia nata oggi. In quel tragico 1987 Come conferma Christian Coulon, tra i più noti specialisti di questioni islamiche nel continente africano e autore di uno studio scritto nel lontano 1993. Titolo: Gli itinerari politici dell?Islam nella Nigeria settentrionale. Coulon racconta una realtà ben poco rassicurante. Il 6 marzo 1987, presso il campus universitario di Kafanchan, il reverendo Abubakar Boko, predicatore evangelico a tempo perso, ebbe la sciagurata idea di commentare ai propri fedeli alcuni versetti del Corano. Non passarono nemmeno 24 ore che la notizia, distorta da estremisti in cerca di consenso, si propagò in città dando luogo ai primi scontri tra comunità cristiane e musulmane. In pochi giorni, l?intero Stato di Kaduna (area frontaliera tra il Nord musulmano e il Sud a maggioranza cristiana) fu teatro di una gigantesca caccia al cristiano, al termine della quale si contarono una decina di morti, 1.500 persone arrestate, 152 luoghi di culto distrutti e 109 tra alberghi e bar ridotti in cenere. Per Coulon, gli scontri sanguinosi di Kaduna furono la manifestazione più drammatica di un conflitto ideologico che, facendo leva sulla miseria dilagante dei nigeriani, opponeva dagli anni 70 due concezioni antitetiche dello Stato (la prima erede della tradizione laica europea; la seconda opposta alla nozione di Stato secolare, additato come puro prodotto del cristianesimo, se non del colonialismo e dell?Occidente tout-court). Purtroppo, le violenze dell?87 rivelarono altresì l?incapacità del regime nigeriano di frenare il radicalismo islamico (e, in misura minore, quello cristiano). A quasi vent?anni di distanza, le tragedie di Maiduguri, Katsina e Bauchi sembrano confermare una realtà nigeriana immutata. «In realtà, di mezzo, c?è stato l?11 settembre e l?avvento di un?informazione globalizzata capace di superare qualsiasi frontiera», tiene subito a precisare il presidente della Conferenza episcopale in Nigeria e arcivescovo di Abuja, John Onaiyekan. Ancora scosso dalle violenze che hanno nuovamente colpito le comunità cristiane, Onaiyekan non è però nemmeno sicuro che l?uccisione di padre Michael Gajere e di oltre cinquanta fedeli abbia come unico denominatore comune il fattore religioso. «Certo, i disordini sono scoppiati durante una manifestazione organizzata da musulmani che desideravano esprimere la loro indignazione contro le vignette su Maometto. Ma non sono state bruciate solo le chiese. E tra i saccheggiatori c?erano molti giovani disoccupati. Purtroppo, temo che dietro a questi massacri ci sia la mano di fondamentalisti islamici nigeriani, sempre pronti a sfruttare la povertà della gente per aizzarla contro un nemico immaginario ». Che spesso, nei 12 Stati settentrionali del gigante africano in cui le autorità hanno adottato la Sharia (la legge islamica), è cristiano e minoritario. Ma in che misura, cattolici (se ne contano 18 milioni) e protestanti sono da considerarsi comunità in pericolo? Le colpe del governo Secondo i rappresentanti della Can – Christian Association of Nigeria, sia nel passato che oggi la minaccia è relativamente bassa. «Si tratta di episodi sporadici », precisa il presidente anglicano della Can, Peter Akinola, «ma non per questo tollerabili. Qui ci sono dei piccoli imam convinti di promuovere una Jihad per sottomettere l?intero paese all?Islam». Non a caso, la stampa nigeriana ha evocato l?ipotesi secondo la quale i fautori degli ultimi disordini avrebbero in realtà lo scopo di destabilizzare e poi rovesciare il presidente Obasanjo, di fede protestante.Onaiyekan non esclude nulla, ma preferisce puntare il dito contro «un regime che non fa nulla per identificare i responsabili di questa ideologia e sbatterli in galera. Ogni volta che accade una tragedia, il governo ci dice di favorire il dialogo. Ma noi, assieme ai responsabili della comunità islamica, il dialogo lo abbiamo intavolato da anni. E meno male, perché in caso contrario sarebbe un disastro».


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