Welfare
Quei miei giorni a San Vittore
"Ho vissuto l'esperienza della "vita nuda", segregata. Per questo ne scrivo. Come scrivo della "nuda vita" di chi vive comunicando, per spostare il limite del morire..."
di Aldo Bonomi
Da un po? di tempo, come sanno quelli con cui ogni mese preparo Communitas, uso, per leggere i cambiamenti in atto, le categorie astratte ?nuda vita? e ?vita nuda?. Più filosofiche che sociali. Più biologiche che materiali, più antropologiche che politiche. Il filosofo Roberto Esposito, con il suo libro Bios, scava nel profondo del rapporto tra biopolitica e filosofia. Per fortuna siamo in tanti ad interrogarci sulla società che viene avanti caratterizzata dalla forma dell?individualismo compiuto e del corpo messo al lavoro. Biopolitica e nuove forme del produrre sono grandi temi in agenda. Per nulla astratti. Molto concreti.
Se raccontiamo la nuda vita fatta di memoria, parole, linguaggio, comunicazione, informazione, cellule, dna, riproduzione? che fa di noi macchine che lavoriamo comunicando nell?economia dei servizi e nel capitalismo delle reti. Così come la nostra naturale macchina dell?eros è messa al lavoro nello sconfinato laboratorio della tecnica per allontanare malattie, spostare il limite del morire e tentare l?assalto al cielo della vita. Temi, dibattiti, scontri e conflitti in una società ove i mezzi sono potenti e i fini incerti. Il controllo di quella potenza e la costruzione dei fini attraverso un capitale sociale disponibile ed accessibile è biopolitica. L?altra faccia del mondo che tendiamo a rimuovere è la ?vita nuda?, il rovescio della ?nuda vita?.
?Vita nuda? è un corpo che deve mangiare, coprirsi, abitare? sopravvivere e che non accede al privilegio del lavorare comunicando, ma lavora con fatica servile e che, quando non ce la fa, si fa cadavere ai bordi della metropoli per il freddo o per il gelo o viene portato sul bagnasciuga ogni volta che fa naufragio una carretta del mare che trasporta la moltitudine migrante. Immagini altre dal dibattito sui portali, sulle reti, sulle televisioni o sulle nuove tecnologie. Un corpo privo di autonomia in balìa dell?altro.
Questa antinomia tra nuda vita, che sta in alto, e vita nuda, che sta in basso, ha dei luoghi emblematici di rappresentazione e segregazione. I ricchi e i miti della business community dei sorvolatori del mondo, in alto. I luoghi del dolore e della pena o della nuda vita iper comunicante che si trasforma in vita nuda, invisibile e muta, in basso. Ognuno di noi ha dentro di sé le due facce rovesciate del bios.
Viviamo nella società della competizione difendendo la nostra nuda vita al lavoro per evitare che diventi vita nuda. Il carcere che non vogliamo vedere è un luogo emblematico, e ci fa paura perché sappiamo che oltrepassata quella soglia la vita si fa nuda. Puro corpo ove comunicazione, eros, memoria, identità sono sospesi e negati.
Dentro di me, più come esperienza che come teoria, mi porto dentro il vivere e l?aver vissuto l?una e l?altra dimensione. Dirigo una rivista, scrivo libri, faccio ricerche e consulenza. So cosa significa lavorare comunicando. Ma ho anche vissuto l?esperienza della vita nuda segregata. Per questo scrivo dell?uno e dell?altra.
San Vittore, 1975
Giunto nel carcere di San Vittore il 21 giugno 1975, verso le ore 16.30, venivo immediatamente portato nella cella di isolamento, dopo essere stato privato di tutto il bagaglio che avevo con me, rinchiuso nella cella numero 23 che consisteva in un fetido antro di due metri per tre, avente come unico arredamento un bugliolo, un tavolaccio e un materasso privo di lenzuola e cuscino. Il materasso e i muri presentavano grosse macchie scure e croste che, se non vogliamo pensare a mosche e zanzare giganti schiacciate contro gli stessi, dobbiamo dedurre trattarsi di sangue umano….
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