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Presentato il Rapporto Osservasalute: ecco i dati

Un paese di anziani, dove la mortalità per tumore rappresenta il 30% del totale dei decessi. L'analisi della qualità dei servizi delle regioni

di Redazione

Buona la salute degli italiani e la qualità dei servizi erogati dal sistema sanitario nazionale, anche in confronto a quella di altre nazioni europee. Ma sussistono ancora variazioni regionali e interregionali molto ampie. E l’attività programmatoria delle regioni sembra a volte non soddisfacente. Queste le conclusioni cui giunge il Rapporto Osservasalute 2005, 382 pagine di analisi di dati sulla salute e la qualità dell’assistenza nelle regioni italiane frutto del lavoro di oltre 200 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che collaborano con l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane (che ha sede presso l’Università Cattolica di Roma) e che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero della Salute, Istat. A questa terza edizione dell’Osservasalute hanno collaborato anche Cittadinanza Attiva, Caritas e Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap). Il nostro è un Paese di anziani: la quota di popolazione definita anziana (65 e più anni) e di quella vecchia (75 e più anni) è in Italia tra le più elevate nel mondo. Un quinto dei residenti ha ormai superato il sessantacinquesimo compleanno e poco meno di un decimo il settantacinquesimo. La quasi totalità delle Regioni del Nord Est e del Centro, l’Abruzzo, il Molise, il Piemonte, e soprattutto la Liguria (dove gli ultra sessantacinquenni sono già più di un quarto) presentano quote di anziani superiori al 20% del totale dei residenti. In Italia aumentano le aspettative di vita per entrambi i sessi: 76,5 anni gli uomini e 82,5 le donne. Il rapporto fornisce i dati distinti per provincia dai quali emerge che Rimini e Macerata hanno il primato della speranza di vita per gli uomini con 78,2 anni e Ancona per le donne con 83,9 anni. I dati riferiti all’ultimo decennio del ‘900 (periodi 1991-1993 e 1998-2000) indicano un relativo avvicinamento della speranza di vita maschile e femminile: le donne vivono in media 6 anni in più degli uomini e vedono così ridotto (0,5 in meno) il vantaggio di 6,5 anni ancora esistente agli inizi degli anni ’90. Nel triennio 1998-2001 si assiste, infatti, a un aumento dell’aspettativa di vita in entrambi i sessi rispettivamente di 2,1 anni per gli uomini e 1,6 anni per le donne. Sia per gli uomini sia per le donne il contributo maggiore alla riduzione della mortalità e all’allungamento della vita è venuto dalle età oltre i 65 anni, la cui diversa dinamica sul territorio (maggiore riduzione in alcune zone e minore in altre) discrimina anche le province con migliore o peggiore performance. Tra le cause di morte, sono le malattie del sistema circolatorio a rivestire lo stesso ruolo discriminante, subito seguite dai tumori che, nelle province dove complessivamente la mortalità ha incontrato maggiore resistenza a ridursi, è addirittura aumentata. Complessivamente la mortalità per tumore rappresenta in Italia circa il 30% del totale dei decessi. Essa costituisce la prima causa di morte nell’età adulta e la seconda nel segmento anziano della popolazione ed è del circa il 30% del totale dei decessi. Si stima che nel 2005 vi siano occorsi oltre 250.000 nuovi casi (135.000 negli uomini e 117.000 nelle donne) che corrispondono a un tasso standardizzato (popolazione europea) di 356 casi ogni 100.000 uomini e 266 casi ogni 100.000 donne. Negli ultimi trent’anni il numero assoluto di decessi per tumore è andato costantemente aumentando. Tuttavia tale crescita si è accompagnata, nel corso dell’ultimo decennio, a una riduzione del rischio di decesso. Questo principalmente a causa dell’invecchiamento della popolazione, che determina l’aumento del numero dei casi anche a parità di rischio: è quindi in aumento il numero dei decessi tra gli anziani, dove vi sono ora anche generazioni con alto rischio di tumore, mentre le generazioni in età più giovane sono caratterizzate da un progressivo più ridotto rischio di malattia. È un fenomeno osservabile in tutte le Regioni, ma con caratteristiche più accentuate al Nord rispetto al Sud. ?Quello che emerge dal Rapporto 2005 non è solo il consueto gradiente Nord-Sud – spiega il prof. Walter Ricciardi, Direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica di Roma e Direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – ma uno scenario più complesso e variegato?. Emergono cioè i dati positivi complessivi ?che sottolineano come le performance del nostro Sistema sanitario nazionale siano buone, in alcune Regioni e in alcuni settori addirittura eccellenti. Ma se è necessario che questo livello di qualità sia riconosciuto e reso noto a tutti – prosegue il prof. Ricciardi -, a maggior ragione riteniamo, nello spirito di servizio che accompagna il nostro lavoro di ricercatori, sottolineare la necessità di una valutazione ragionata degli aspetti critici. Tali criticità necessitano di interventi, alcuni anche urgenti, di miglioramento, che ruotano attorno alla necessità di un impegno coordinato in quei settori che mostrano eccessive variazione interregionali?. Su alcuni fronti si registra una carenza di dati statistici di qualità: mentre nel caso dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza farmaceutica esistono flussi informativi e indicatori ben consolidati, in altri settori, fa notare il prof. Gianfranco Damiani, docente all’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica e membro della segreteria scientifica dell’Osservatorio, ?la carenza di dati e informazioni è tale da impedire una compiuta analisi del sistema: è il caso degli stili di vita alimentari, che pure è noto hanno un elevato impatto su tumori e malattie cardiovascolari; è anche il caso dell’assistenza territoriale che per la scarsità di dati disponibili difficilmente consente un monitoraggio di tipo né qualitativo né quantitativo?. Relativamente agli ambiti che necessitano di interventi urgenti basati su un coordinamento gli esempi non mancano. Si prenda il caso della mortalità infantile: per il 2002 il dato nazionale si attesta a 4,1 ogni 1000 nati vivi. Ma se si guarda alle singole Regioni i dati indicano variazioni che vanno da un minimo di 2,0 in Toscana – tra le più basse al mondo – a un massimo di 6,9 in Basilicata. Altrettanto critiche la variazioni riferite ai parti cesarei. ?Il Ministero della Salute ha fissato il valore di riferimento dei parti cesarei al 20% del totale dei parti – sottolinea la prof.ssa Roberta Siliquini, docente presso l’Istituto di Igiene dell’Università di Torino e componente della segretaria scientifica dell’Osservatorio-: questo l’obiettivo da raggiungere secondo il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005. Nel 2003 più di un parto su tre è stato cesareo: il valore nazionale è del 36,6 con un aumento rispetto al 1998 del 5,2%. Guardando alle diverse realtà regionali si va dal 19,5 della provincia autonoma di Bolzano al 51,2 della Basilicata fino al 57,9 della Campania?. Il gradiente Nord-Sud perde in parte la sua unicità di significato su un altro fronte strategico come quello dello screening dei tumori: ?la Basilicata è nel Sud in assoluto all’avanguardia – fa notare il dott. Pietro Folino Gallo, segretario scientifico dell’Osservatorio – raggiungendo il 100% delle donne nella fascia di età 50-69 anni nel suo programma regionale di screening per il tumore della mammella, patologia che costituisce la prima causa di morte nelle donne tra i 35 e i 69 anni. Il dato atteso è che in ogni Regione la quasi totalità delle donne nella fascia di età 50-69 sia inserita in un programma di screening, rispettando quanto disposto dai Livelli Essenziali di Assistenza; attualmente invece solo la metà delle donne italiane è inserita in un programma di screening mammografico organizzato. È insomma necessario un coordinamento delle attività programmatorie delle Regioni italiane che sono, e rappresenteranno sempre più, il fulcro decisionale delle attività messe in opera per la salute dei cittadini. ?Occorre cioè che le scelte che le Regioni compiono siano coordinate per evitare situazioni di larga eterogenicità come ad esempio quelle esistenti per i ticket farmaceutici? esemplifica il prof. Americo Cicchetti, docente di Organizzazione aziendale presso l’Università di Chieti-Pescara e membro della segreteria scientifica di Osservasalute-: la Provincia Autonoma di Trento senza l’applicazione del ticket farmaceutico riesce a controllare la spesa lorda farmaceutica pro capite (174,24 euro), conseguendo eccellenti risultati in termini di appropriatezza prescrittiva mentre la Regione Lazio, applicando il ticket vede la sua spesa lorda pro capite attestarsi a 305,07. Nei casi in cui è intervenuto un centro nazionale di coordinamento per far fronte a gravi carenze come era quella dei trapianti in Italia, la situazione è rapidamente e drasticamente migliorata. Dai 329 donatori nel 1992 si è passati a 1.120 nel 2004. L’Italia è oggi il secondo Paese in Europa per numero di donatori e questo risultato ha determinato un’importante ripercussione sui programmi di trapianto: in poco più di dieci anni sono quasi triplicati, passando dai 1.083 effettuati nel 1992 ai 3.217 nel 2004. ?Spetterà alle stesse Regioni – auspica in conclusione il prof. Ricciardi a nome dei ricercatori di Osservasalute – concordare le modalità di questa necessaria attività di coordinamento, costruendo rapporti sinergici con le istituzioni centrali, che assumono entrambe un ruolo chiave nella salvaguardia dell’unitarietà e dell’equità del sistema?.


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